Profilo storico del dialetto di Modena

Profilo storico del dialetto di Modena

Liberamente tratto da “Profilo storico del dialetto di Modena” di Giulio Bertoni, Geneve, Leo S. Olschki Editeur, 1925.

Dall'”Introduzione”:

Il nome della città .
La denominazione latina è Mutina, ma la forma volgare, dalla quale conviene partire, è Mà³dna (italianizzato in Mà³dona, Mà³dana, Modena). Il nome volgare, adunque, non proviene direttamento dal latino Mutina, il quale, a sua volta, deve essere invece un latinizzamento della denominazione originaria. Inoltre, la voce stessa volgare Mà³dna non può essere derivata da un Mot- (Mà³tina), perchà© abbiamo bisogno di una sillaba chiusa. Onde ci si affaccia il sospetto che si debba risalire a un Mòtt-ina, che sia divenuto Mà³tna, donde poi Mà³dna per la ragione che, avutosi il lat. Mutina (ricavato approssimativamente da Motna), potè accadere che quest’ ultimo influisse, a sua volta, entrato nel dominio del popolo, sulla denominazione popolare. Ora al -t- latino rispondeva un -d-. E se si pensa che i parlanti conoscevano la forma dotta, a cui erano portati a riallacciare il nome volgare, si può capire, come Mà³tna divenisse Mà³dna.
Se questo ragionamento è giusto (e non ne vedo altro migliore), Mà³dna risale de un lato a Mottina e dell’altro a Mutina. Base del nome della nostra citta dovè essere un radicale mott- prelatino, la cui diffusione è già  stata studiata: emil. ven. lomb. mota, terra ammucchiata; mucchio; friul. mote poggio in mezzo a una pianura, lad. muota colle, ant. prov. mota collina, ant. franc, motte; eppoi: piem., fr. prov. mota, forma di formaggio, ecc. ecc. Si sa che la pianura e la collina emiliana, nei dintorni di Modena, sono sparse di motte, cumuli o elevazioni di terreno che si hanno nell’alto modenese (Montale, S. Zenone, Corticella, ecc.), nel basso modenese (Ganaceto, Cannetolo, Montalbano, ecc.), nel carpigiano (S. Croce, Gargallo, Budrione, ecc.), nel nonantolano (Navicello, Cervarezza, Bibitula), ecc. ecc. Modena stessa è sorta sopra una «Motta».
Sulle motte gli uomini fissarono le loro abitazioni e talora a sommo di questi ammassi di terreno abbiamo le così dette terremare, che sono reliquie delle stazioni di popoli avvolti anch’ essi neill’ombra della preistoria……..

Svolgimento del dialetto.
Il dialetto di Modena si svolge con tutti insieme i dialetti italiani, in modo che riesce impossibile staccarlo — come un elemento di un sistema — e studiarlo in sà©, indipendentemente da tutti gli altri elementi con cui forma un tutto. La sua vita si inserisce nel processo dell’ intera Italia dialettale, partecipa delle sorti delle altre parlate (e, in particolare, di quelle più vicine) e non si sottrae, a datare da un dato momento, dall’influsso del dialetto toscano, quando quest’ ultimo assurge a dignità  di lingua letteraria. Circola, in esso, come negli altri dialetti, un unico pensiero, che s’individua in forme determinate dappertutto e si disindividua costantemente, perennemente, per determinarsi di nuovo storicamente : qua assumendo un aspetto, là  configurandosi in modo diverso. L’infinita molteplicità  non esclude una fondamentale, assoluta unità , dalla quale non è possibile prescindere.
Ond’è che con tutti i dialetti italo-gallo-ladini il modenese ha comuni fenomeni importanti di stampo emiliano, mentre per altri non meno preziosi si ricollega alle parlate centrali. Ha comuni coi primi, in maggiore o minore misura, alcuni fenomeni di fondo celtico, che gli conferiscono una fisonomia settentrionale, come:
1. Il dilegno delle vocali atone finali, salvo 1′ -a, per cui l’Emilia si riattacca al Piemonte a alla Lombardia (ma non alla Liguria).
2. Tendenza all’espunzione delle vocali protoniche, come nel piemontese, ma in iscala maggiore.
3. Il palatalizzarsi di à¡ in sillaba lunga. L’ຠsi conserva come u, dato che non si sia avuto ༠in antico, poichà© si noti che abbiamo ༠a Sestola.
4. Il digradamento delle sorde intervocaliche.
5. La metafonesi.
6. Reiterazione del pronome: tu-te-cantas.

Fenomeni che riattaccano, d’ altro canto, il modenese al toscano sono :
a) La maggior resistenza delle dentali intervocaliche, nel senso che la sorda digrada sino a d e resta. La sonora ha sorte varia (forse scomparve e in varie parole fu introdotta per infl. toscano).
b) ct volge a t (e non a jt, nà© a c come rispettivamente in Piemonte e in Lombardia).

Questi tratti sono comuni, si può dire, salvo alcune riserve, ai dialetti emiliani. Ma della parlata di Modena si potrà  avere un’idea più adeguata, se esamineremo con attenzione i fenomeni seguenti che la caratterizzano in particolare o caratterizzano insieme i dialetti che più le sono vicini……

L’influsso germanico.
Mentre i Goti lasciarono poche vestigia della loro conquista nella storia di Modena, i Langobardi, sopra tutto a tempo di Liutprando, richiamarono in città  i fuorusciti e iniziarono un periodo di relativo splendore. Liutprando eresse un castello a Cittanova, del quale ci è stata conservata la lapide commemorante la fondazione. Un’ iscrizione dei tempi di Desiderio, veduta e copiata nel sec. XVI da G. M. Barbieri, è andata perduta………

Primi influssi francesi.
Ai primi del sec. XII cominciano a comparire nei monumenti i nomi portati in Italia dalle leggende di Francia. Modena poteva dirsi sulla strada del pellegrinaggio a Roma, e benchà© la via più breve volgesse, poco lungi da Parma, a traverso 1’Apennino pel colle della Cisa, è certo che molte turbe di devoti francesi percorrevano la via Emilia per un buon tratto ancora. Se in un archivolto del Duomo, cioè dell’ edificio popolare per eccellenza ed eretto per volontà  del popolo, si scolpirono eroi brettoni coi loro nomi, è chiaro che le fantasie del ciclo di Artù non dovevano essere ignote a Modena, come non furono sconosciute altre leggende epiche francesi, alcune delle quali poterono esservi appunto portate dai pellegrini………

Influssi veneti nel sec. XIV.
Nei secc. XIII—XIV si venne formando nell’Italia superiore un volgare illustre, della cui esistenza non è più lecito dubitare: una lingua, che, indeterminata, indecisa, mirava ad assurgere a nobiltà  letteraria e che rispondeva da un lato al bisogno pratico di farsi capire oltre in confini regionali e dall’ altro alla esigenza di una espressione più adeguata a un pensiero più elevato. Era come un ideale irraggiungibile, che sembrava potersi attingere, sia latinizzando il volgare, sia ricorrendo a dialetti divenuti insigni per l’opera di scrittori di grido, sia contemperando spontaneamente le fisonomie diverse di diverse parlate, accettandone qualche carattere fonetico o qualche voce peculiare. Gli elementi locali non il mancavano in questa lingua aulica, ma vi perdevano la loro vivezza sotto una vernice, che variava da paese a paese, anzi da scrittore a scrittore. Sopratutto il Veneto ebbe ad influire sull’emiliano in questo periodo…….

Cominciano in questo periodo, o poco prima, i testi più sinceri in volgare modenese, che appartengono al sec. XVI e sono costituiti dalle poesie del Pincetta, di Tarquinia Molza, di Giulio Bertani, di Gio. Francesco Ferrari.
Del Pincetta, il miglior poeta vernacolo modenese del cinquecento, ha discorso di recente con molto garbo il Cavazzuti), al quale, come a tanti altri, il nostro cantore è parso un personaggio misterioso). Gli studiosi mi saranno grati di produrre qui alcune notizie d’archivio, le quali gettano qualche luce sull’oscuro poeta, che fu, tra le altre cose, come si vedrà , uno del bel numero degli amici di Gio-Maria Barbieri). Non fosse che per questo titolo, egli meriterebbe già  d’essere tolto dall’oblio, in cui da troppo gran tempo giace; ma per fortuna altre ragioni abbiamo per rinfrescarne un poco la memoria. E queste sono offerte dalle qualità  del suo canzoniere per molti rispetti rilevante, personale, e degno di nota non soltanto per la molta importanza linguistica, che ha, ma anche per il suo valore letterario).
Il «Pincetta» non è altri che Ippolito Pincetti, uomo di lettere e d’affari, che ebbe, per così dire, un piede a Modena, e 1’altro a Ferrara. Superiore come poeta al Bertani, (poeta vernacolo modenese di qualche importanza) ci ha lasciato una copiosa silloge di rime (sonetti e capitoli), che ci fanno conoscere le sue cospicue relazioni. Egli indirizzò infatti alcuni parti della sua musa al Sigonio, a Giacomo Cavalierini, a Paolo Grillenzoni, a Claudia Rangoni, a Tarquinia Molza, e ad altri personaggi noti nella repubblica delle lettere e nella politica. Era un benestante. I documenti ci fanno sapere che aveva possessi nella villa di Magreta e d’altro canto un sonetto al suo «mezzadro» viene a confermare, per sua bocca, questa notizia. Per i molti rapporti, che aveva in Ferrara, e per la considerazione, in cui era colà  tenuto, la Comunità  di Modena lo elesse a suo patrocinatore e quasi rappresentante in una gran lite con i Pio di Sassuolo per le acque del Secchia. Era una grossa questione, oltremodo complessa, della quale ebbe, per ragioni d’ufficio, ad occuparsi lungamente il Barbieri, perchà© essa scoppiò appunto durante il periodo del suo cancellerato). Nel 1566 il Barbieri e Ippolito Pincetta furono eletti a recarsi a Ferrara, nella qual città  si dibatteva la causa; e, secondo una nota autografa dello stesso Barbieri (Arch. Com., Vacchette, 1566, c. 104), partirono i due la sera del 22 giugno. Qualche anno dopo, trovandosi il Pincetta a Ferrara, ebbe dalla Comunità  l’incarico ufficiale di occuparsi della lite e di valersi, in tale occasione, delle sue amicizie. Il Barbieri gli scriveva il 18 febbraio 1570 ch’egli era stato eletto e deputato a sollecitare et «hauer cura della lite» per la buona opinione, che si aveva della sua «fidelilà  et sufficienza». Il Pincetta rispondeva tosto che, dovendo stare a Ferrara «per suo interesse», si sarebbe presa a cuore «l’impresa». Non saprei dire quanto egli abbia cooperato al buon esito della causa; sta il fatto che la lite fu vinta dalla Comunità  modenese, per la quale aveva raccolto documenti e notizie storiche lo stesso insigne provenzalista, allora «magnifico perpetuo segretario» del Comune di Modena. Ippolito Pincetta non volle essere ricompensato per i suoi servigi, perchà© — scriveva il Barbieri — egli era «più che mai desideroso di servire la patria, per quanto «potranno pontare le sue forze»).
Col Barbieri il nostro poeta dialettale ebbe grande dimestichezza. A prova di ciò, posso citare una lettera indirizzatagli da Ferrara il 5 dicembre 1569), nella quale lo stile è così libero e anzi così scherzosamente e sfacciatamente osceno, da togliermi il gusto di riprodurla anche parzialmente.
Ippolito Pincetti, figlio di un Giordano, ebbe un fratello, Alfonso, canonico della Cattedrale, e morì il 29 marzo 1595. Sopravisse dunque di parecchi anni a Gio. M. Barbieri……

Influssi tedeschi.
La dominazione austriaca ha lasciato germanismi recenti. Si può dubitare di gat «marito ingannato» (che potrebbe essere semplicemente la voce «gatto»), ma non di tartà ifel, chiacchierone (der Teufel). La voce gat non è attestata che per tempi non anteriori agli Austro-Estensi (1815).
La voce bàºbel, fanciullino, compare già  nel sec. XVIII. Bà©zi, danari, è parola largamente diffusa. Trabant significa oggi: uomo male in arnese…….

Il pensiero si rinnova incessantemente, e col pensiero si rinnova la lingua. Molti vocaboli scompaiono, ed altri sono ad essi tosto sostituiti per virtù dell’energia creativa del nostro spirito e per le necessità  d’ogni ora. Ma nei dialetti, col trionfo della coltura e col prevalere delle lettere, sempre più manifesto appare un fatto, su cui molti eruditi hanno richiamata 1’attenzione del pubblico: le voci perdute vengono surrogate bene spesso dalle corrispondenti letterarie o da espressioni anch’esse letterarie. Questa sostituzione si compie con un relativo adagiarsi del nuovo vocabolo nella fonetica istintiva del dialetto, il quale, a ben guardare, si svolge per reazioni e controreazioni sotto l’influsso continuo, incessante e gagliardo della lingua letteraria. Anzi, nasce da cosiffatto influsso una vitale forza, un energico slancio, per cui è reso possibile ai dialetti di svilupparsi e di risorgere ad ogni ora in forme nuove d’esistenza, senza cristallizzarsi o senza fossilizzarsi. Ma, intanto, una parte genuina e preziosa della storia delle nostre regioni si disperde e scompare a poco a poco, sopraffatta dall’invadente letteratura. E vocaboli meravigliosi per evidenza e perspicuità  e quindi per bellezza si staccano dalla memoria degli uomini, piombando nell’oblio, mentre altri sorgono non meno (sebben diversamente) interessanti…….
……….Un grande scoramento ne assale, quando pensiamo ai tesori perduti e quando vediamo sfuggire inevitabilmente alle nuove generazioni i bèi termini natii, che fiorirono sulle bocche dei padri e che avvizziscono e muoiono, a poco a poco, senza quasi lasciar traccia, umili resti (e preziosi) della nostra ricchezza lessicale più vera e genuina.
Si pongano sotto gli occhi, non dirò a un linguista, ma a un curioso qualunque di dialettologia, queste voci perdute, o in procinto di perdersi, salvate da antichi vocabolaristi, e si vedrà  che un medesimo sentimento si farà  strada nell’animo dei lettori: qualcosa di noi scompare, con i nostri vocaboli, qualcosa di intimo e domestico, che non possiamo non non invidiare alle generazioni passate. Esaminando alcune delle vecchie parole, cadute in disuso, ci avvediamo che un’unità  lessicale, più salda e compatta di ciò che ora accade, avvinceva l’una all’altra le nostre regioni, nelle quali ancor sopravvivono, qua e là , parecchie voci abbandonate per sempre dal popolo modenese. Chi dice più, per «vinco», vins, adoperando un bel plurale passato in funzione di singolare? Chi usa mai più a Modena il vocabolo bebia, per «discorso lungo e noioso»? Oggi lo si sente invece nel Veneto e in Lombardia e anche altrove). E così: bios, solo, (ted. bloss); frua, «frutto delle vacche»); inghirola, vaso da dar da bere alle galline); clebs, cioè «eclissi» per indicare una gran quantità  (p. es. di uccelli); dsesa, cioè «discesa» per «infreddatura»; ngotta, niente; gaibola, «intrico» [cfr. milan. gabola, affaraccio; gà bòlar, gabbare]; gain, furbo [milan. gaijnon, furbaccio]; impajulada, donna che a partorito); induttl, sorta di salame [romagn. andrugla, salsiccia matta, Salvioni, Nuove post., s. inductilis]; mazzaglar, andar vagando [ital. mazzaculare, franc. machecoulcr]: pgnuc, goffo [ital. gnucco, perfido, caparbio], prcantla, favola; teiga, baccello, theca (ven. tega); tattar, mobiglie di poco valore, zisà³r, forbici (cesoie), zibega, «uom che poco vede e dicesi anche di uom risentito» [ital. cibeca, Horning, «Zeitschr.», XXI, 453], ecc., ecc. — sono tutte voci che in modenese furono (e più non sono) adoperate. Alcune vivono ancora umilmente nelle campagne e risuonano nei casolari più lontani dal rumore della vita cittadina; altre sono ancor floride, per fortuna, in alcune parlate (nelle quali sono state notate e studiate da altri eruditi), sia nel Veneto, sia nella Lombardia, sia nel Piemonte, sia infine in qualche parte dell’Emilia e della Toscana. Furono un tempo proprie anche di Modena e percorsero ininterrottamente gran parte dell’ Italia, mentre oggidì fan capolino qua e là , come poveri avanzi d’una rovina ineluttabile e continua.
L’influsso letterario costituisce la maggiore tragedia dei dialetti. Per fortuna, questo influsso che è la stessa forza, che li consuma, sveglia in essi un nuovo fermento di vita. La loro sorte è di essere assorbiti dalle lingue letterarie, ma di risorgere sempre grazie a una palingenesi, che è la loro morte e in pari tempo la loro rinà scita. Ond’è che, malgrado lo scampanellare a morto degli studiosi e le esequie che si è usi cantare sul loro prossimo estinguersi, essi saranno eterni. Moriranno in una forma, ma risorgeranno — senza mai raggiungere la quiete — in un’ altra, cioè in una forma diversa per ogni individuo, pur tendendo a raccogliersi, entro certi limiti di spazio e di tempo, in ischemi tipici, che gli uomini, parlando, si sforzano di costruire per ragioni sociali, e che gli eruditi procurano di fissare astrattamente e alla meglio nei loro prontuari o nelle loro grammatiche.”

2 risposte

  1. Il dilegno delle vocali atone e l''espunzione delle vocali protoniche sono argomenti sicuramente di indubbio interesse generale, e di ancor maggior interesse tra i cultori della gastronomia 😉
    Propongo un seminario integrando l'argomento con alcuni spunti sull'influenza del dittongo nella morfologia delle tane di talpa nel tardo medioevo.
    Sperando vivamente che ti si fulmini lo scanner ti invio i miei migliori auguri di una pronta guarigione 🙂 🙂 🙂

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