Psicanalisi e puleinta – Guglielmo Zucconi

Psicanalisi e puleinta – Guglielmo Zucconi

Dal libro di Guglielmo Zucconi “La mઠMòdna”, Artioli Editore in Modena, Novembre 1985.

Psicanalisi e puleinta (1976)

Or che la psicanalisi ci insegna
che tra la buona e la cativa schmeinza
an gh’è propi nisona difereinza,
e i seltastreda, el trà³i, i asasà®n, (1)
se son così, l’è colpa d’un magoun
ch’i han ingugnà© quad ‘i eren di mucloun, (2)
davanti alla condanna ergastolana
ed Zvanien Bondi fu Edoardo, al lèder
che l’an pasà©, sorpreso da so pèdèr
al le mazઠcon ‘na smartleda in testa,
me a deg che la giustizia viene offesa
perchà© anca lò l’ha avu la psiche lesa.

‘Na sà®ra, a zeina, l’era con sà´ mèdra
eh’ l’à®va apeina sfurnè un bel bensoun (3)
e lò, puvrein al gè: — Voio il bumboun… —
E la mèdra: — Mo’ sà©, cher al me anzlein,
prèma fines la tà´ puleinta e poi
del bombone a t’in dag infin che vuoi… —
Zvanein, alora, al s’inguzà© ‘d puleinta
e pò al slunghà© la sà´ maneina, ma
in quel momento il padre al veins a ca. (4)
Al guerda e al zà®ga: — Bein, mo’ samia mà¢t?
La puleinta e per zunta anc’al bensoun?
De so, caclein, chi et? Al fiol ‘d Rangoun? — (5)
Ecco, il bambino ci restò da cane,
nella sua psiche il duol fà©’ mulinello
che spiega quindi il colpo di martello
tgnù deinter per treint’an e pò mule
in d’la mazoca d’al papa rabein (6)
ch’al semnà© un asasin in un putein.

Signori della corte, non sapete
che ormai le colpe ed tot i brot lavor
chi fan i fià´, à® en di genitor?

TRADUZIONE

Psicanalisi e polenta

Or che la psicanalisi ci insegna
che tra il seme buono e cattivo
non c’è proprio nessuna differenza,
e i saltastrada, i porci, gli assassini,
se sono così, è colpa di un magone
che hanno inghiottito quando erano dei ragazzini,
davanti alla condanna all’ergastolo
di Giovannino Bendi, fu Edoardo, il ladro,
che l’anno scorso, sorpreso da suo padre
lo uccise con una martellata in testa,
io dico che la giustizia viene offesa
perchà© anche lui ha avuto la psiche lesa.

Una sera, a cena, era con sua madre
che aveva appena sfornato un bel bensone
e lui, poverino, disse: — Voglio il bombone… —
E la madre: « Ma sì, caro il mio angioletto,
prima finisci la tua polenta e poi
del bombone te ne do fin che ne vuoi… —
Giovannino, allora, si ingozzò di polenta
e poi allungò la sua manina, ma
in quel momento il padre arrivò a casa.
Guarda e urla: — Beh, ma siamo matti?
La polenta e per giunta anche il bensone?
dì, su, caccoletta, chi sei? Il figlio di Rangoni? —
Ecco, il bambino ci restò da cane,
nella sua psiche il duol fà©’ mulinello
che spiega quindi il colpo di martello
tenuto dentro per trent’anni e poi mollato
sulla zucca del padre avaro
che seminò un assassino in un bimbo.

Signori della corte, non sapete
che ormai le colpe di tutte le brutte cose
che fanno i figli, sono dei genitori?

NOTE

[1) Ho tradotto «trà³i», cioè troie, con «porci» perchà© in italiano «troia» è quasi esclusivamente un epiteto dispregiativo di genere femminile, mentre in modenese «troia» è soprattutto usato al maschile a proposito di uomini capaci di tutto e buoni da niente.

(2) «Mucloun», cioè moccioso, ragazzino col naso sporco di moccolo. E’ una «sineddoche» (la parte per il tutto) che con lo stesso significato dell’italiano si ritrova oltre che nel modenese, in altri dialetti: in milanese «narigiatt» (da narice), in siciliano «muccusu». Ciò significa che dappertutto, in passato, i bambini erano assai più sporchi di quelli odierni, pulitissimi fin che dura su di loro il dominio delle madri. Poi, semmai, diventano sporchi crescendo.

( 3 ) II «bensoun» era il povero dolce delle mense di allora: farina, uova, zucchero e burro. I più ricchi e raffinati potevano permettersi il «bensone guarnito», con un ripieno di marmellata o più spesso di saba, cioè mosto cotto.
Il bensone diventava «brazadela», ciambella, in tre occasioni, per esempio quando un bambino faceva la Cresima o la prima Comunione ed era tenuto ad offrire ai parenti e agli amici delle ciambelle dolci.

(4) «Veins», cioè terza persona singolare del passato remoto di «gnir», non si usa quasi più. Più usato «gnà©Â».

(5) II marchese Rangoni era il termine di riferimento per misurare la ricchezza. Dal Medio Evo in poi la famiglia Rangoni è stata infatti a lungo la prima famiglia di Modena, non solo per nobiltà  ma anche per terre e palazzi. Personalmente avevo uno zio che era stato «cucà©r ed Rangoun», ossia cocchiere dei Rangoni, e se ne vantava come di un titolo principesco.

(6) Non c’è mai stato vero antisemitismo a Modena, anche se dal 600 in poi, vari duchi costrinsero gli ebrei, che erano arrivati a Modena in gran numero al tempo della cacciata dalla Spagna, a concedere loro, per amore o per forza, prestiti che spontaneamente non sarebbero stati concessi. Durante il Risorgimento, quando finalmente anche gli ebrei modenesi parteciparono alla vita politica, civile e professionale, ci fu un episodio di ipocrita e diffidente intolleranza: gli ebrei vennero esonerati dal partecipare alla guardia civica ma furono costretti a pagare l’esonero. Nella seconda parte dell’800 ogni differenza venne infine cancellata e da allora molte famiglie ebraiche possono vantare larghe benemerenze nei confronti della comunità  modenese, come ha documentato nella sua ricerca il dottor Geminiano Benatti. Perciò il termine «rabein», cioè rabbino, è voce correntemente usata senza malizia. E’ una delle tante voci, del resto, che come «zebedei» (testicoli) o «bernacai» (occhiali), passarono dall’ebraico al modenese. E questo passaggio lo si vede assai bene nell’opera polifonica di Orazio Vecchi, « Le veglie di Siena » del 1604, eseguite una ventina d’anni fa dal maestro Guido Montanari con la corale «L. Gazzotti».

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