Recensione su , scritta da Zemian il 2012-10-28
“Cielo di piombo ispettore Callaghan” direbbe un cinefilo… “Che tempo da cani!” direbbe un cinofilo… fatto sta che oggi nubi e pioggia la fanno da padroni. Ho provato a condensare ed ottimizzare gl’impegni mattutini, giro in bici compreso, ma il cattivo tempo ha stravolto l’agenda e come al solito mi sono trovato a litigare con l’orologio e con i draghi volanti che per l’occasione fanno gli straordinari.
Io & Vècia arriviamo ai laghetti di Campogalliano (che chi non mangia con le mani chiama Laghi Curiel) ad ora di pranzo e mentalmente autoproduco una cover dei Dik Dik “cielo grigio su, lago grigio giù”… incredibile come il colore del soffitto sia uguale a quello del pavimento, quasi uno specchio virtuale la linea dell’orizzonte.
La vista dei laghetti sfoglia un’altra pagina del libro della memoria (se ne sentiva la mancanza… eh?). Il ricordo va quando da monello (veramente monello, iniziai che avrò avuto forse 4 anni) venivo con mio padre, un amico d’infanzia e suo padre a divertirci ai laghetti: nuoto, scherzi, spruzzi, catture modello “ti tiro giù per i piedi e ti faccio bere”, agguati con lanci di melma nascosti tra le onnipresenti cannette d’acqua… e via dicendo… in barba alle più elementari norme di sicurezza e di convivenza civile. A seguire pranzo al sacco immancabilmente seduti attorno alla nostra Dyane 6 (di un improbabile “verde Irlanda”) od alla loro Renault 4 (di un ancora più improbabile “nocciola maglia di sotto di lana infeltrita del nonno Armando”) che non superava gli 80 km/h causa adozione di specialissima miscela benzina super + benzina normale + benzina agricola (le cui proporzioni sono ancora ad oggi tenute gelosamente segrete) per risparmiare qualche foglietto marrone con la faccia baffuta di quel signore di Roncole Verdi nativo.
Ma i laghetti li ho frequentati anche successivamente, in prima ed in seconda adolescenza: si arrivava caricati in motorino per fantastiche grigliate a bordo pista dove l’unico scopo era magnare, bere e crepare dalle risate (gentil sesso… nemmeno a parlarne e nemmeno per scherzo… giammai). Al ritorno, nei tardi pomeriggi estivi, il malcapitato di turno caricato dietro sull’Aspes Yuma (comodissssssimo) di terza mano immancabilmente si strinava il coppetto o la sciaranzana (pelata) con il sole che da Ovest concentrava tutta la sua potenza ad altezza uomo... incredibile.
Ricordi meno fiabeschi, meno casa di marzapane di altri… ma pur sempre bei ricordi.
E torniamo ad oggi… entriamo, ci accomodiamo al grande tavolo rotondo nell’angolo della veranda, mi piace questa soluzione perché consente a tutti di ciacarare con tutti… i tutti sono Carolingio & Marta, Jhonnybazoo & Sabrina, Zemiàn & Vècia. A far capolino sul tavolo vestito per l’occasione con la camiseta blanca uno stuolo di bicchieri che pare l’esercito di terracotta.
La prima parte della ciacarèda non è esattamente gioiosa, il senso di sconforto che hanno provato Carolingio & Signora in mattinata visitando Borgoferro è ancora ben presente quindi ci porta a fare delle riflessioni sull’accaduto e sulla situazione attuale delle persone più duramente colpite dal sisma… proprio un ante-antipasto amaro, come ho giàcommentato sulla recensione di Carol. Speriamo che da ora in poi tutto vada per il meglio.
La sala/veranda ove pranziamo è piuttosto grande, vetrata con vista lago, con un’acustica che non aiuta… il vociare delle persone si sente soprattutto a sala full o quasi. All’arrivo di una megatavolata familiare con parecchi bimbi inizio a sudare freddo… vedrai che non sentirò le parole dei miei commensali… invece l’educazione e la compostezza di questo gruppONE hanno facilitato molto le cose quindi il tutto è rimasto su livelli assolutamente accettabili.
Giusto per complicare un po’ le cose Carolingio & Moglie hanno il menù coupon GustaPremio, Jhonny & il sottoscritto scelgono il menù della Bilancia, le “quasimogli” di questi ultimi optano per un menù alla carta.
Nel menù della Bilancia è previsto l’assaggio a sorpresa del vino: ogni piatto è accompagnato da un calice di vino differente e misterioso… mistero che saràsvelato solo a fine pasto. Da impertinente scroccone di bevute quale sono lancio la sfida al di spirito dotato cameriere: “Se indovino tutti i vini alla fine mi regali una boccia…”. Giàsapendo, da ignorante quale sono, che non avrei mai centrato il bersaglio ci ho comunque provato… magari si scrocca ugualmente… e comunque il gentile cameriere annuisce con un sorriso. Normalmente preferisco tuttavia avere la boccia a portata di mano… metti mi faccia male la schiena e fatichi ad alzarmi con cosa mi aiuto a sollevarmi? Per OVVIE RAGIONI STRUTTURALI la boccia deve contenere del succo d’uva, altrimenti non sarebbe idonea all’uopo… accetto comunque di buon grado la formula del vino nascosto e così come me tutto il tavolo.
Arriva l’antipasto: cannoli ripieni di crema di mortadella classica con mandorle di Toritto (queste ultime presidio SLO’ FUD).
Questi piccoli cannolini di pastasfoglia sono del tutto simili ai loro cugini dolci, anche nel particolare delle mandorle tritate applicate nella parte aperta del cannolo a chiusura del ripieno. Molto molto buoni, mi sarei aspettato la solita presenza importante della mortadella nella preparazione della crema invece sono “delicati con gusto”… cioè a dire che il gusto del ripieno non sovrasta quello della pasta e quello delle mandorle, vanno a braccetto come 2 fidanzatini tredicenni brufolosi all’uscita della scuola. Bene.
Accetto (e ti pareva…) anche la gentile offerta di Carolingio’s Wife: mi porge l’ultimo dei suoi crostini con trito di baccalà, arancio e cipolla rossa… rimaniamo su ottimi livelli. Da apprezzare anche in questo caso che l’ingrediente principale fortemente saporito (baccalà) non schiaccia tutto il resto… forse la cipolla è un po’ su di giri ma la cosa non m’infastidisce perché mi piace.
In accompagnamento perviene il primo vino misterioso: lo battezzo un Cartizze e chiaramente è un… un… Brut Cleto Chiarli! Evvai... prima pipì fatta fuori dal bucalino (vasino da notte… per chi parla senza mettere le dita nel naso: bucalèn)! Vino comunque non male anche se normalmente preferisco bollicine più secche… onestamente nel mio immaginario il brut è altra cosa.
Arriva ora il primo: risotto di Grumolo delle Abbadesse mantecato al lambrusco con salsiccia sgranata, rosmarino e pere Abate (ma c’è una parola ogni chicco di riso?).
Ebbene… detto da uno non così amico dei risotti (mi ricordano i soggiorni in ospedale)… questo è un Signor Risotto. Cotttura perfetta, saporito ma non troppo carico (facile farlo diventare buono abusando del burro… qui non è assolutamente il caso), salsiccia (in quantità) ottima e non troppo speziata, grani di riso e di salsiccia gradevolmente ben distinguibili, aromi ben amalgamati. Per dirlo in una parola: veramente notevole. Era un pezzo che non mi capitava un risotto così, gusto comunque incisivo ma in un contesto di equilibrio di aromi difficilmente ottenibile. Chapeau al Piatto del Giorno, per oggi stai qui e non tornare all’ospedale da tuo fratello muffo come un aglio.
Il vino in accompagnamento è un lambro che battezzo senza dubbio come un Salamino per la retronota dolcina di “ferro” (per intenderci il gusto “sangue” che percepiamo quando autoripariamo una piccola abrasione sulla mano)… bravo, seconda pipì fuori dall’urinario! In realtàil lambrusco è un Saio Rosso az. agr. San Polo, 90% Grasparossa e 10% Cabernet, realizzato con uno riscoperto metodo “ancestrale”… proprio mai sentito… ma comunque mi piace, decisamente.
Arriva quindi un intermezzo: il rinfresco all’anice. Un bel bicchierino (gelato) di liquore a base di anice ed alcune erbe colte nel giardino del ristorante, spiega il loquace cameriere… originale e diverso dai soliti anicioni iperalcolici da brusca (persona che gradisce gli alcolici… per chi ha perennemente le padelle sulla camicia: brósca). Gradito siparietto, ovviamente MI TOCCA bere anche quello dell’arzilla signora alla mia sx.
Ed ora è il momento del secondo: guanciale brasato a bassa temperatura con sbrisolona al Parmigiano Reggiano di vacca Bianca, nello stesso piatto viene servita anche la polenta e fusione di stracchino stagionato.
Carne molto ma molto tenera, quindi ben cotta come penso sia giusto cuocere il brasato, sapore molto buono, presenza di parti grasse assolutamente bandita… occhei, ci siamo… Per il mio gusto avrei preferito la carne giusto un pelinino più salata, ma siamo nel campo dei centesimi di punto...
Striscioline di polenta con stracchino fuso n’copp buone, la polenta non è tra le cose che mi fa gridare di gioia ma rimane comunque gradevole. Piccolo inciso sulla polenta: la vedo più da accompagnamento a qualcosa (arrostita, fritta, ecc.) che come piatto principale… con relativi sfottò da parte della Vegliarda che invece ne va ghiotta.
Questo giro il vino lo becco (solo il tipo… non allarghiamoci), e come me tutto il tavolo, ed è un Sangiovese Superiore (Zavalloni di Cesena diràCarolingio). Non basteràa farmi vincere la bevuta a scrocco ma almeno bevo un ottimo sangio, bello profumato e non sgarbato. Il sangio è sul podio dei miei vini “democratici”, ossia tra quelli più spendibili a tutto pasto, ed anche in questo caso fa un figurone. Brèv Sangio, lo so che si può sempre contare su di te, sei rassicurante come una borsa dell’acqua calda ed una coperta di lana fatta con i ritagli.
Perviene al rotondo tavolo il dolce: il curioso e simpatico nome affibbiato a questa preparazione è “Gliela incarto?”… eh eh eh… carino. In pratica si tratta di una graziosa scatolina rosa di cartoncino (tipo bomboniera) con dentro 4 dolcetti della tradizione modenese: un amaretto, un tortello fritto, un quadretto di torta al cioccolato, una pesca dolce.
L’amaretto non è male come gusto ma lo preferisco ancora più ciccio e più morbido… forse non è colpa sua ma del fatto che essendo così piccolino inevitabilmente si asciuga di più… comunque concreto.
Il tortello fritto è un must… piccolino, rigonfio, ripieno di un Savór o qualcosa di simile (con molta Saba?), molto gradevole… era un pezzo che non ne vedevo al ristorante. Anche senza spolverata di zucchero a velo (che spesso si usa forse più per decorazione che per effettiva necessità… e che non mi piace granchè) sarebbe stato buono lo stesso.
Torta ed cicolèta: morbida ma con parte inferiore più tamugna (come piace a moi), bbbbuona, gusto intenso, non stucchevole… inutile dire che me ne sarei fatto un padellone.
Pesca dolce: surprise… normalmente la evito causa adozione di ingredienti perlopiù lòfi (alchermes triste, cioccolato con ulteriori aromatizzanti… bleah!)… ma questa è proprio proprio buonina. Pasta non disfatta, alchermes ok, cioccolato buono. Anche la Signorina Pesca è un po’ lillipuziana per stare con i suoi tre piccoli amici nella scatolina rosa (peschinaaaaa… dove sono mamma, papàe tuoi fratelli che voglio andare a trovarli???).
Visto che dopo il pranzo farò una fatica enorme a leggere una rivista di arte e/o a prillare gallone sul divano decido che è venuto il tempo di far scorta di zuccheri da bruciare (anche Jhonny sposa questa teoria…): ordino un secondo dolce, fuori menù. Quando vedo una crostata (con marmellate, almeno presumibilmente, brusche… please) mi si occlude la venuzza della ragione quindi ecco che arriva la crostata di visciole: buona, non troppo dolce, marmellata grossolana come piace al sottoscritto… solo un filino troppo cotta per i miei gusti. In ogni caso spazzata via senza ritegno alcuno.
Il vino in abbinamento (che date le magre figure di cui prima non ho nemmeno tentato di indovinare… o forse si?) è un Moscato (cantina Terredavino di Barolo, dice Carolingio) nemmeno troppo violento… od almeno rispetto ai passiti cui sono stato abituato dagli amici piemontesi… ed anche lui va giù negl’inferi a trovare gli amici precedentemente assaggiati.
Durante il pasto assaggio anche quanto prende la Nonna: gnocchi con cipolla rossa e Santoreggia (non ho mai sentito questo Santo… è nuovo?) molto molto delicati e buoni, petto d’anatra con fichi caramellati bello pieno e gustoso ma moderatamente duretto (vicino la cotenna, peraltro), mascarpone che la Strega Bacheca non mi fa nemmeno annusare (grrrrr…).
A corollario di tutto quanto sopra esposto osservo che: le presentazioni dei piatti sono curate, vettovaglie interessanti, il servizio è attento e cordiale e, per quello che ho potuto percepire dalle veloci battute scambiate a fine pasto, Quoco parimenti cordiale ed appassionato.
Volendo trovare una definizione sintetica per questo locale è: buon gusto. L’equilibrio del “buon gusto” lo ritrovi appunto nelle preparazioni non troppo convenzionali ma nemmeno sparate a caso, nelle presentazioni curate ma non sfavillanti, nelle porzioni non esagerate ma comunque soddisfacenti e… dettaglio mai trascurabile… nel conto. A mio parere la cucina è originale e trova un adeguato riscontro nel discorso qualità/prezzo, le sbavature sono poche e veramente di poco conto.
Per un complessissimo algoritmo segreto di mia invenzione, per le formule di prostaferesi ed anche un po’ grazie all’allineamento dei pianeti (?!?!) il numero corretto di cappelli relativo alla mera prestazione enogastronomica sarebbe pari a 4,38917… ma… per la pYacevole compagnia dei miei commensali Carolingio e Jhonnybazoo nonché delle rispettive Signore e per la bella atmosfera creatasi sono felice di assegnare un bel 5 cappelli al ristorante Laghi.
Spero di tornare presto per assaggiare altri piatti, ho scorto con fugace occhiata altre proposte interessanti nel menù… menù che la mia Badante mi ha prontamente strappato di mano ad inizio pasto e restituito alla cameriera. Sono più che convinto che anche la prossima volta non sbaglierò.
Uscendo dal locale ci avvolge una bella sciarpina di vento freddo… terribilmente freddo come i glutei di una trentaduenne il primo giorno dell’anno… e ci salutiamo cordialmente... proprio una bella esperienza da ripetere.
Oltre alla sibiola ancora cielo grigio topo, acqua e nuvole… anche questa volta mi toccheràconcludere con una frase non banale e cioè “non ci sono più le mezze stagioni”.
ÂÂ
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