Recensioni

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Recensione su , scritta da mizoguccini il 2008-02-16

LA CUCINA DELL'IMPERO DI MEZZO Forse pensate che la cucina cinese sia cattiva; Forse non vi dispiace, ma la ritenete comunque una cucina da non prendere troppo sul serio, e un po' troppo unta. È tempo che cambiate idea, è tempo che veniate a magiare da Lon Fon. La vera cucina cinese è, con i suoi millenni di storia, la più incredibile e preziosa del mondo, propriamente si dovrebbe parlare di cucine a plurale, perché anche senza contare quella delle zone montuose o desertiche a ovest, nella sola fascia orientale storica della civiltà Han (i “cinesi” propriamente detti), da nord a sud la cucina varia enormemente. In Italia si è affermata originariamente una versione della cucina cantonese imbastardita per adattarsi ai gusti italiani, e spesso purtroppo cucinata male con ingredienti di cattiva qualità. A Milano i ristoranti cinesi di basso livello stanno sparendo (diventano dei giapponesi…), ma anche quando l'offerta era immensa e di qualità sospetta, c'erano le alternative: si poteva scegliere il lusso e andare all'Hong Kong o al Giardino di Giada, scegliere l'avventura e andare in uno di quelli quasi privi di clienti occidentali a Chinatown (zona Paolo Sarpi), oppure fare la scelta migliore e andare in via Lazzaretto (sì, proprio dove sorgeva un tempo il luogo dove Renzo ritrova infine Lucia, adesso in piena “casbah” milanese) e andare da Lon Fon. NEGLI ANNI FEDELE Lon Fon significa drago fenice, l'unione dei due animali mitici per eccellenza, l'apparizione del dragofenice (per farvene un'idea, è quello rappresentato sulle lattine di birra Kirin) annuncia i periodi particolarmente fausti, la tradizione vuole che un dragofenice abbia salutato la nascita di Confucio, l'apertura di Lon Fon sul finire degli anni settanta ha di sicuro inaugurato un periodo d'oro per la cucina cinese a Milano. Io ci andavo già da ragazzino più di una ventina di anni fa, spesso ci vado per il mio compleanno, e da un po' di anni è diventato un appuntamento fisso per le visite a Milano della “suocera”. Mia “suocera” è una signora del varesotto che prima di Lon Fon era stata al cinese una sola volta in vacanza (alle Azzorre…), con terribili conseguenze intestinali, quindi io e la mia compagna abbiamo dovuto faticare non poco per convincerla ad andarci in occasione di una delle sue visite in città, anziché alla solita pizzeria o al ristorante sardo di pesce; ora non vuole più andare in nessun altro posto (noi stiamo provando a introdurre anche il giapponese, ma lì le resistenze sono forti), e si inventa ogni scusa possibile per venire a Milano. L'AMBIENTE Lon Fon è stato ristrutturato alcuni anni fa a seguito di un incendio, e da allora è decisamente sobrio: zoccolatura di legno fino a un metro di altezza e pareti rosa-pesca, dello stesso colore delle tovaglie e dei tovaglioli, le “cineserie” sono limitate: le lampade a muro, comunque eleganti, alcuni soprammobili all'ingresso, qualche stampa. La sala più grande ha tavoli rettangolari da 4-6 posti e tavoli quadrati per due persone, mentre in quella più piccola ci sono tavoli rotondi con il centrotavola rotante, utile per passarsi la salsa di soia o il riso. Doppia apparecchiatura con posate in inox e bacchette (a chi raduna e mette da parte le posate viene portato il reggi-bacchette), piatti con bordino e nome del ristorante, bicchieri per l'acqua, tazzine per il tè, calici se si ordinano vino o birra. Come da tradizione le pietanze non sono presentate su piatti individuali, ma su piccoli vassoi in modo che tutti ne possano prendere un po'; per mantenere caldo il cibo vengono utilizzati i classici scaldavivande a candela. Ottimo il sistema di aerazione di tutto il locale, che è decisamente privo di odori persistenti (piaga dei ristoranti italo-cinesi vecchia maniera); il bagno, unisex, è piccolo e decisamente inaccessibile ai disabili, ma pulito. La clientela è composta da affezionati (un anziano avvocato, sempre da solo, lo vediamo ogni volta che ci andiamo a mezzogiorno), da un buon numero di orientali, in particolare giapponesi (sempre un buon segno, si tenga conto che il posto è abbastanza lontano da “Chinatown”, quindi chi viene qui ci viene conoscendo l'indirizzo e non capitandoci per caso), e da lettori di recensioni sui giornali e guide, dove il nome di Lon Fon compare spesso. Alla sera, in particolare al sabato, è opportuno prenotare. Viene diffuso quel tipico mix musicale di musica tradizionale, pop cinese, e cover in cinese di evergreen (l'ultima volta c'era que sera sera), può piacere o no, ma il volume è comunque tenuto basso. L'OFFERTA Chiariamo che, come ristorante cinese, Lon Fon è caro, come ristorante di qualità a Milano invece non lo è affatto; il conto però varierà sensibilmente se ordinerete dei piatti normali o se vi farete tentare da uno dei piatti speciali, vera gloria del locale: i principali sono quattro, la regale anatra alla pechinese, il succulento stinco di maiale, il nobile rombo diliscato e saltato e il prezioso granchio intero con spaghetti di soia. Una nota sulla carta: come usa nei ristoranti cinesi è vastissima, e nasconde delle trappole, infatti alcuni piatti indicati in realtà non li fanno (una lacrima per l'anatra in salsa di tè, che prendevo sempre da ragazzino, ancora compare in carta, ma non viene più preparata, una volta il cameriere Yao ha vigorosamente negato che sia mai uscita dalla loro cucina), ha tre sezioni diverse in cui compaiono “piatti speciali”, i migliori sono in quella “da ordinarsi almeno un giorno prima”, ma non è vero, l'anatra alla pechinese è sempre disponibile, lo stinco molto spesso e senza prenotazione, mentre il granchio o l'astice ci sono molto raramente e sono stagionali, piccioni e quaglie infine io non li ho mai trovati. Difficile orientarsi: noi che siamo clienti affezionati ci facciamo consigliare da Yao, il lunatico ma disponibilissimo capo-cameriere, che decide anche se stiamo componendo un pasto adeguato per varietà e quantità, per le prime visite occorre tentare, per esempio se si ordina l'anatra pechinese questa costituisce da sola e per tutta la tavolata quasi un intero pasto. Ma per cominciare non bisogna farsi mancare alcuni degli antipasti (più correttamente si tratta di dim sum, che in Cina sono piattini che accompagnano il “cha”, il tè): anche i fritti, tra cui l'ottimo involtino primavera, sono apprezzabili, ma la vera meraviglia sono i piatti al vapore, i classici ravioli cinesi che da Lon Fon preparano A MANO tutti i giorni; potrete sincerarvene andandoci a mezzogiorno, il tavolo in fondo alla sala sarà occupato da un cuoco che impasta acqua e farina, divide l'impasto in cilindretti che poi stenderà con un minuscolo mattarellino e infine farcisce il ravioli uno per uno. Le varietà sono molte, dai classici di carne, a quelli di granchio, a quelli ai quattro colori, ai grigliati, i miei preferiti sono quelli “speciali” con carne di vitello e cipollotti, servito con una salsa di soia arricchita da peperoncino e spezie. Se poi per i “secondi” (bisogna sempre tenere conto che queste sono distinzioni nostre che non hanno cittadinanza in Cina, dove non c'è una successione rigorosa tra le pietanze, ma si tende a presentare tutto insieme) non si prende niente di troppo impegnativo, non ci si dovrebbe far mancare i capellini fritti alla Lon Fon, la pasta è croccante e impregnata con una salsa ricca ma al contempo delicata (qualcuno potrebbe desiderare l'aggiunta di un po' di sale), nel condimento si trovano verdure, funghi cinesi, vitello, bambù, pollo e calamari, sono semplicemente deliziosi e sempre molto abbondanti: prendetene un numero di porzioni che sia la metà di quella dei commensali, se volte prendere ancora altre cose. I piatti di carne sono sempre ben eseguiti, il canonico pollo con le mandorle o gli anacardi è molto migliore di quello che si trova altrove, il maiale è saporito in ogni preparazione, particolare e non facile da trovare altrove è il galletto croccante piccante, alle volte si trovano l'agnello o la coda di manzo stufati; ma è ora di dare un'occhiata alle preparazioni più complesse. LE GRANDI GLORIE L'anatra alla pechinese è una dei piatti per eccellenza della cucina imperiale si tratta di una pietanza presentata in tre servizi (pare che l'imperatore si limitasse al primo): la pelle del volatile viene laccata con un composto di miele, olio di sesamo, aceto e altri ingredienti, si lascia riposare poi si arrostisce e si spolpa, il primo servizio consiste appunto nella carne con la sua succulenta pelle che viene avvolta dal commensale in piccole crêpes di sola acqua e farina assieme a una spessa salsa scura (la stessa della laccatura, si dice, ma io vi avverto un sapore che ricorda il tamarindo) e a listarelle di cipollotto e cetriolo. Il risultato è semplicemente squisito, l'unico problema è che, a scorno degli scaldavivande, l'anatra si raffredda rapidamente, ma è buona lo stesso. Il secondo servizio consiste nei ritagli dell'anatra sminuzzati finemente assieme a verdure varie, il tutto viene avvolto in foglie di lattuga cinese e poi mangiato; il terzo infine consiste in un brodo preparato con la carcassa dell'anatra e il cavolo cinese, il brodo è caldo e abbondante (una minestra non può mancare, in un pasto tradizionale) e se siete senza fondo potete anche spolpare ben bene la carne rimasta attaccata alle ossa (io lo faccio). Sulla carta il prezzo dell'anatra non compare, è “secondo quantità”, non so dire esattamente quanto costi, in ogni caso è costosa, ma vale il suo prezzo. Quando c'è il rombo, intero, viene preparato in questo modo: la carne viene staccata e saltata in wok con alcune verdure di stagione (in primavera con gli asparagi, per esempio) zenzero fresco e altre spezie, la lisca invece viene fritta, e SI MANGIA TUTTA, tranne giusto la spina dorsale. Se non vi fidate cominciate con le estremità, che sono le più croccanti (“come dei biscotti” ha detto una volta la signora Rita, proprietaria del negozio e cuoca), il commensale più buongustaio e che meno teme di sporcarsi dovrà poi affrontare la testa, che va ripulita di tutto quel che rimane attaccato alle cartilagini, in particolare la parte della mandibola, che è considerato dai cinesi il boccone più prelibato. Il rombo saltato è un piatto raffinato e sorprendente, chi ama il pesce non deve farselo mancare; anche questo è caro, e viene servito solo intero, quindi occorre essere in parecchi, oppure rinunciare ad altri piatti forti. Lo stinco di maiale è semplicemente sontuoso: intero viene cotto al vapore e stufato con una salsa spessa e ricca, accompagnato da cavolo cinese; ovviamente la parte migliore è la cotenna, meravigliosamente morbida e fondente (“che fi%$?$ la cotenna”, sospirò una volta una cugina della mia compagna che nei mesi precedenti aveva cercato di diventare vegetariana), ma anche la carne è tenerissima, si tratta del piatto più gourmand che il ristorante imbandisce, e quello da ordinare se si è veri mangioni. Chiedete di che dimensioni sono gli stinchi quel giorno, perché alcuni vanno almeno per quattro, mentre altri più piccoli possono essere presi solo per due persone, e in casi particolari che certo non mancheranno tra gli affezionati di GM, anche per una sola persona. Il granchio è il più difficile da trovare (a parte l'astice che lì ho mangiato una sola volta almeno dieci anni fa, ma che ricordo!), credo che la sua stagionalità sia autunnale, anche se io l'ho mangiato l'ultima volta nell'estate del 2006; credo sia di un tipo particolare e deve essere vivo (negli altri piatti in carta che prevedono polpa di granchio si trova invece granchio in scatola), viene cotto al vapore e poi servito con spaghetti di soia piccanti. È meraviglioso ma impegnativo: per estrarre tutta la polpa occorre rompere chele e zampe, e ci si lorda orribilmente, all'uopo vi porteranno gli strumenti necessari, ciotoline con sciacquadita e infine salviettine umidificate in bustine difficili da aprire se si hanno le mani scivolose (già che ci sono: purtroppo in questo ristorante non servono gli asciugamani umidi e caldi per lavarsi le mani prima di iniziare il pasto, civilissima usanza di alcuni ristoranti orientali); non un piatto da prendere per un pasto di corteggiamento, anche se di sicuro effetto, a meno di rinunciare a tanta buona polpa. Nel romanzo originale Goldfinger di Fleming è scritto che un pasto che gli viene offerto all'inizio del libro, a base di granchi freschi della Florida con burro fuso, annaffiato da Champagne rosé, è il migliore di tutta la vita di Bond: non vi prometto proprio la stessa meraviglia, ma qualcosa comunque di memorabile. Forse è il piatto più caro del ristorante, anche questo “secondo quantità”. L'ULTIMA VISITA Sabato a pranzo, ovviamente con la “suocera” venuta più o meno apposta. Appena seduti ci hanno portato delle nuvole di drago (specie di “patatine” bianche di gambero, “frizzanti” sulla lingua se fritte di recente, adorate dai bambini) offerte, cosa inconsueta. Per l'ordinazione c'erano delle limitazioni: l'anatra l'avevamo presa la volta precedente, io avrei gradito lo stinco, ma mia “suocera” ne aveva comprati due piccoli da fare coi carciofi per il giorno dopo a casa sua, e alla fine quindi abbiamo rinunciato ai piatti speciali per un pasto così composto: tre zuppe agropiccanti (con tofu e striscioline di prosciutto, adorata dalla mia compagna) ravioli al vapore misti, sempre una gioia, si fanno sempre attendere un po' perché sono preparati espressi, e poi un piatto di pancetta di maiale cucinata come lo stinco, del vitello con i broccoli, delicato, ottima la cottura al dente dei broccoli, e un piatto per noi nuovo, manzo fritto piccante, delle specie di sfilaccini per nulla unti accompagnati da verdure e da un peperoncino veramente potente (eravamo stati avvertiti), accompagnati da una porzione di riso alla cantonese e una di riso bianco (io preferisco una base più neutra, da impregnare con le salse). Per finire ananas fresco (i dolci purtroppo sono quelli- inventati per gli occidentali- che si trovano anche negli altri ristoranti cinesi: gelato fritto, frutta fritta e caramellata, sono comunque fatti meglio che altrove- la frutta viene caramellata dal cameriere a vista dai clienti, immersa poi nell'acqua fredda per far solidificare la crosta di zucchero- ma non veramente esaltanti), poi un caffè e grappa di rose a 54 gradi per tutti e tre (a noi lasciano la bottiglia, forse non lo fanno con tutti i clienti…); da bere tè al gelsomino a volontà, due birre cinesi da 66 cl. e una bottiglia di acqua frizzante, hanno anche una piccola carta dei vini, e consigliano degli abbinamenti, in particolare col galletto piccante e col rombo, ma noi prendiamo sempre tè e birra. Il tutto per un conto di 100 euro (anzi 99.50), che diviso tre fanno 33 onestissimi euro, per un pranzo abbondante e di ottima qualità in una città capace di fornire pasti mediocri a prezzi scandalosi. Certo quando prendiamo i piatti speciali spendiamo di più, ma quando andiamo solo in due e quindi il pasto non è offerto ;-) , ce la caviamo con una cinquantina di euro o poco più. COME RAGGIUNGERLO Il ristorante ha una fermata del tram proprio di fronte, ci arrivano l'uno e l'undici (ma attualmente quest'ultimo è deviato), provenienti dalla vicinissima piazza Repubblica (fermata della linea tre della metropolitana, del passante ferroviario, capolinea- fermata semplice attualmente per modifiche di percorso- della circonvallazione del 29/30); per chi arriva in macchina il posteggio in zona deve essere difficile (anche se per pochi metri è fuori dalla zona ecopass), ma non chiedetelo a me, io non guido e non amo le auto. Nota: in via Lazzaretto c'è anche un altro ristorante orientale-cucina cinese e thailandese- dall'ambiente piuttosto elegante di nome Shangri-La, che se si proviene a piedi dalla circonvallazione, cioè da viale Vittorio Veneto, si incontra per primo; non fatevi confondere, non è Lon Fon che ha cambiato nome, proseguite fino quasi all'incrocio con viale Tunisia e lo troverete. Andateci, se passate da Milano, sia che già amiate la cucina cinese, sia che vogliate imparare ad amarla. 52008-02-18 00:00:002008-02-18 00:00:0033.001
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