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Recensione su , scritta da grog il 2008-10-12

È domenica, sono a Venezia da sabato e sono già stufo morto. L'entusiasmo dello stacco dalle automobili, dai pazienti e dalla moglie mi ha messo le ali ai piedi ed ho girato in lungo in largo come un forsennato, e così non sento più i piedi. Questa sera ho promesso a mio fratello che porto fuori a cena i suoi due figli maschi, così lui è libero di uscire con sua moglie. Ed eccoci pronti per questa uscita, la prima volta che io e i miei nipotini usciamo a cena, e per di più non a Modena, ma in trasferta. Dove andiamo? Boh, a Venezia c'è solo l'imbarazzo della scelta. Non ho voglia di scarpinare molto, ho già i piedi gonfi. Partenza da Corte Barbarico, si trova tra Campo Sant'Angelo e Campo Manin. Dicevo, partenza da Corte Barbarigo, giriamo a destra in Rio Terà della Mandola, imbocchiamo Calle della Mandola e ci dirigiamo a sinistra verso Calle della Cortesia, oltrepassiamo il ponte omonimo e siamo in Campo Manin. Continuiamo diritto passando sulla destra del monumento a Daniele Manin, in fondo al Campo infiliamo la Salizzada San Paternian e la percorriamo fino a Campo San Luca, ove imbocchiamo sulla sinistra Calle San Luca, ancora a sinistra Calle dei Fabbri, la prima a destra Calle dell'Ovo (o Calle del Lovo), passiamo sul ponte omonimo su Rio San Salvador, sempre diritto passiamo davanti alla Chiesa San Salvatore, ancora avanti lungo Via Do Aprile (Due Aprile). Avanti ancora entriamo infine in Campo San Bartolomeo. In tutto dieci minuti di cammino. In fondo al Campo, lasciatoci alle spalle il monumento di Goldoni, sulla destra prendiamo per Calle della Bissa. Ci infiliamo giù di lì e in un attimo ci troviamo davanti al locale. La locazione del luogo è strana, mi dà l'impressione di una città sotterranea, le calli sono strettissime e ci sono pure i portici….credo che qui non batta mai il sole. Mi sembra di essere in Blade Runner, mi guardo intorno e mi aspetto di veder arrivare Harrison Ford con l'impermeabile e la pistola in mano, tutto bagnato e trafelato…… In fondo in un angolo ci sono alcune vetrine illuminate con neon colorati tipo pop-art, da discoteca, di dubbio gusto. Per un attimo maledico Piggo per avermi dato una bufala, mentre sacramento alzo gli occhi e in una di queste vetrine extrasporca, piena di bottiglie di VOV e poco illuminata leggo “Da Gislon – Rosticceria – Tavola Calda – Ristorante”. Butto dentro gli occhi e vedo una locale tipo rosticceria strapieno di gente. Gente anche seduta ai tavolini lungo le vetrate, tipo tavola calda americana.. Ritiro immediatamente gli improperi per tutti i Santi e Piggo, cerco di ricordarmi le indicazione che mi aveva dato “Devi entrare, aggirare il primo bancone, fra i due banconi c'è uno spazio e dietro si intravede una scala che sale, prendila e al primo piano c'è il ristorante”. Obbedisco Capo! Entro, raggiro, guardo, osservo, leggo “Ristorante al primo piano”. Passa un cameriere, chiedo se su è aperto e lui, senza degnarmi di uno sguardo mi fa gentilmente “Salga pure”. Saliamo la scala a chiocciola, arriviamo al primo piano e troviamo di fronte a noi un bancone da bar. A Sinistra una salettina illuminata vuota con tre tavoli apparecchiati e dietro intravedo un salone buio; sulla destra una sala piccola con quattro tavoli da quattro posti e uno da sei, otto avventori presenti. Siamo arrivati. UN PO' DI STORIA, TOPONOMASTICA, VA'…. Tutte queste informazioni sono tratte da ”«Curiosità veneziane - ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia» di Giuseppe Tassini. VIII edizione, 1970 - Filippi Editore Venezia. L'edizione di riferimento è la IV del 1887.” Copia e incolla dal sito “Origini della Toponomastica Veneziana” che potete trovare qui: http://venicexplorer.net/tradizione/topos/index.html • Corte Così chiamasi una piccola piazza, o campo, chiusa fra case, da cui per ordinario si deve uscire per la parte medesima per cui si entra. • Barbarigo (Corte) all'Angelo Raffaele La casa, che qui possedeva la patrizia famiglia Barbarigo, per cui vedi Duodo o Barbarigo (Fondamenta), venne distrutta nel 1820, ed anticamente apparteneva ai Michiel. Nel 1592 Nicolò Michiel diede alloggio in essa all'arciduca d'Austria Massimiliano, elettore di Polonia, il quale fatto era ricordato dalla seguente epigrafe posta nel giardino: Maximiliano Austriae Arciduci Maximiliani II Caes. F. Rodulphi II Caes. Fratri, Poloniae Regi Electo, Roma Redeunti Nicolaus Michaelius Hospit. XIII Kal. Maii. MDXCII. Altre strade di Venezia portano il nome della patrizia famiglia Barbarigo. Convien dire che la famiglia Duodo fissasse in tempi alquanto antichi il suo soggiorno in parrocchia di Santa Maria Zobenigo, poiché un Leonardo Duodo da Santa Maria Zobenigo dal 1265 al 1302 era del Consiglio. Inoltre gli eredi di Simeone Duodo, e Pietro Duodo da S. Maria Zobenigo contribuirono prestiti allo Stato nel 1379. La Morea, o secondo altri, la Germania, fu culla di questa famiglia, gloriosa principalmente per un Pietro capitano fino dal 1483 dell'armata sul lago di Garda, e nel 1495 guidatore dei cavalli albanesi alla giornata del Taro; per un Francesco, grande nel 1571 alla battaglia di Lepanto, e per un altro Pietro, figlio dell'accennato Francesco, uomo dotto ed onorato di molte ambascerie. Egli essendo di ritorno nel 1588 dalla Polonia, insieme allo architetto Scamozzi, commise a quest'ultimo di rifabbricargli il palazzo a S. Maria Zobenigo, sulla Fondamenta che perciò venne appellata «Duodo». Pietro costrusse pure le sette chiese presso Monselice, a similitudine delle sette basiliche di Roma, e morì nel 1611. Il palazzo Duodo a S. Maria Zobenigo è nominato nei «Diarii» del Sanudo in occasione d'un banchetto che il 20 febbraio 1532 M. V. diede colà «Pietro Duodo q. Francesco», banchetto in cui si imbandirono «pistachee, calisoni, pernise, fasani, paoni, colombini e tutto quel si pol dar». Tra i principali incendii che successero in Venezia il Gallicciolli nota quello del 3 decembre 1741 in «Ca' Duodo a S. M. Zobenigo». La «Fondamenta Duodo» a S. Maria Zobenigo chiamasi pur anche «Barbarigo» da un'altra patrizia famiglia, anticamente signora di Muggia in Istria, la quale, come tramandano i cronisti, assunse il cognome di Barbarigo, dopoché Arrigo, uno de' suoi eroi, avendo nell'880 sconfitti i Saraceni, formossi delle loro barbe recise una corona, ed in tal guisa ritornò trionfante ai paterni lari. I Barbarigo, venuti tosto dopo a Venezia, fondarono, insieme ai Jubanici, la chiesa di S. Maria Zobenigo, dal che si può dedurre che fino da quell'epoca si stabilissero in detta contrada. Essi fondarono o ristaurarono altre delle nostre chiese, e produssero due vescovi, un patriarca di Venezia, e tre cardinali, fra i quali il beato Gregorio, che nacque a S. Maria Zobenigo, sulla Fondamenta «Duodo» o «Barbarigo», e che nel 1691 rinunciò all'onore della tiara pendente allora sul di lui capo. Uscirono inoltre dalla medesima famiglia due dogi fratelli e, fra molti distinti guerrieri, quell'Agostino, che operò prodigi di valore nella battaglia di Lepanto, in cui, colto da un dardo nell'occhio, morì esultante alla vista dell'eccidio nemico. I Barbarigo imposero il nome anche al «Sottoportico e Calle Barbarigo», situati presso la «Fondamenta Duodo e Barbarigo», a S. M. Zobenigo, nonché ad altre strade di Venezia. • Rio Terrà Specialmente in questi ultimi tempi (e forse con troppa frequenza) s'interrarono molti rivi, e le strade che ne risultarono presero il nome di «Rio Terrà». • Màndola (Calle, Ramo Calle, Rio Terrà della) a S. Benedetto Al termine di questa calle, verso S. Angelo, sorgeva sopra il rivo, che venne interrato, un ponte, il quale in tempi antichi chiamavasi del «Fruttarol», ma poscia si disse «della Mandola», o «della Mandolina», a cagione dell'acquavite colla «màndola», solita a vendersi in una prossima «malvasia» (bottega ove vendevansi vini navigati, e specialmente quello proveniente da Malvasia, città della Morea). Il Ponte suddetto comunicò il suo nome alle finitime località. Troviamo che esso venne rifatto, giusta la terminazione 30 maggio 1759. • Calle «Calle», dice il Berlan, «è voce italiana, usata da Brunetto e da Guittone, fra gli altri, anche nel genere femminino, come usasi nel dialetto veneziano: e appo noi si dà a quelle strade interne che sono più lunghe che larghe». Ove in uno stesso punto vi sono due Calli del medesimo nome troviamo «Calle Prima, Calle Seconda», ecc. Troviamo pure «Calle a fianco, Calle dietro», ecc. Tutto ciò si verifica anche riguardo a «Corte, Ramo», ecc. • Cortesia (Ponte, Calle della) Rileviamo che giù di questo ponte, e precisamente per imboccare la così detta «Calle della Màndola», esisteva nel secolo trascorso una locanda all'insegna della «Cortesia» in uno stabile, che anche nel 1805 si prestava all'uso medesimo col C. N. 3097. La «Minerva Veneta» pell'anno 1785 addita la locanda della Cortesia come una fra le migliori di Venezia. La «Calle della Cortesia» venne nel 1870 alquanto allargata. • Campo Era ben naturale che i nostri padri lasciassero innanzi le chiese uno spazio vuoto per la concorrenza del popolo che frequentava le sacre funzioni. Queste piazze, eccettuata quella di S. Marco, si dissero «Campi», perché, essendo nei primi tempi piantate d'alberi, e lasciandosi in esse crescere l'erba per pasturare i cavalli, le mulette, ed il gregge minuto, ai campi rassomigliavansi. Il «Campo di S. Andrea» si conserva ancora nel suo stato primitivo, meno il canale che gli correva per mezzo, interrato fino dal secolo XVI. Molti poi dei nostri campi sono celebri per istoriche rimembranze. In «Campo di S. Severo», presso la chiesa, ritirossi colla moglie nell'814 Giustiniano figlio del doge Angelo Partecipazio, sdegnato col padre che aveasi associato al solio il figlio minore Giovanni. In quello di S. Pietro di Castello nell'837 la famiglia Mastelizia, poscia Basegio, assalì il suddetto Giovanni Partecipazio, successo nel principato a Giustiniano, e rasigli i capelli e la barba, lo condusse vestito da monaco a Grado. In «Campo di S. Zaccaria» venne ucciso nell'864 il doge Pietro Tradonico. In «Campo di S. Luca» dai fratelli della Carità, e dalla Scuola dei Pittori, terminavasi di sgominare nel 1310 i congiurati di Baiamonte Tiepolo. In «Campo dei SS. Giovanni e Paolo», nell'atrio della cappella della Pace, fu sepolto il doge Marino Faliero, giustiziato nel 1355, e nel 1782 il pontefice Pio VI, dall'alto di maestosa loggia, benedì le turbe. In «Campo di S. Geremia» davasi lo spettacolo delle caccie dei tori, come praticavasi pure nei campi di S. Giovanni in Bragora, S. Maria Formosa, S. Giacomo dall'Orio, S. Margherita, S. Polo, e S. Stefano. In «Campo di S. Polo» abitarono pure varii illustri personaggi in un palazzo del Comune, posseduto poscia dai Corner, ed eravi anticamente un bersaglio rimosso dopo che i nobili colà domiciliati concessero nel 1452 le loro case per albergare Alberto duca d'Austria colla sua corte. Più tardi, cioè nel 1548, vi fu ucciso Lorenzino dei Medici collo zio Alessandro Soderini. Leggesi poi che il «Campo di S. Stefano», oltre che delle caccie dei tori, era teatro di giostre, e che vi si faceva l'antico «listone». • Daniele Manin (Campo) a S. Paterniano Questa piazza, chiamata un tempo «Campo S. Paterniano», desunse l'attuale denominazione dal monumento erettovi nel 1875, sopra disegno dello scultore Luigi Borro, in onore di Daniele Manin, Presidente del Governo Provvisorio di Venezia negli anni 1848-1849, il quale abitava nella prossima calle. • La chiesa di San Paternian La chiesa occupava parte dell'area dell'odierno campo Manin, allora di dimensioni più contenute, con un pozzo al centro e denominato campo San Paternian. La chiesa, di origine molto antica e nominata anche nella pianta del Temanza (la più antica mappa conosciuta della città di Venezia), presentava un struttura di stile romanico. Disegni e foto d'epoca mostrano una facciata molto semplice ed essenziale, priva di particolari decorazioni. La caratteristica più interessante era data dal campanile, anch'esso di stile romanico, che presentava una struttura pentagonale invece che quadrata. Nella seconda metà del XIX secolo il campo San Paternian venne ampliato per far posto al monumento a Daniele Manin, che diede il nuovo nome al campo, e ad altri nuovi edifici destinati a diventare sedi bancarie. In quell'occasione fu eliminato il pozzo e il campanile e la chiesa di San Paternian, da tempo pericolante, vennero definitivamente demoliti. La famiglia Muazzo passò a Venezia da Torcello nell'ottavo secolo coi Querini, Gussoni, ed altri. Si fa menzione nel 1168 d'un Antonio Muazzo che rifabbricò la chiesa di San Paterniano. Maltese (Calle e Corte del) detta dei Risi a S. Paterniano. Chi s'addentra in questa corte vede, non senza meraviglia, una magnifica scala esterna a «bòvolo», ovvero a chiocciola, architettata nel secolo XV, come sembra, da uno dei Lombardi, ed appartenente al palazzo dei Contarini perciò detti «dal bovolo», il quale ha la sua facciata archiacuta sopra il rivo di S. Paterniano. Il Martinioni nelle sue Aggiunte alla «Venezia» del Sansovino, dopo aver descritto l'altro palazzo Contarini, poscia Mocenigo, in «Rio di San Luca, o delle Poste», così continua: «Più avanti, sopra il medesimo Rio, in contrà di S. Paterniano, vi è il palazzo di Gio. Battista, Marco, e Nicolò Contarini, prestantissimi et virtuosi senatori, detti dal Buovolo per una scala insigne, tortuosa, fatta tutta di marmo con colonne e volti, coperta tutta di lastre di piombo, per la quale si ascende in giro, chiamata comunemente scala in buovolo, in cuppole e corridori, fabbricata con eccellente ordine d'architettura, e con spesa incredibile» ecc. Fino dal 1261 trovasi nel Barbaro un Paolo Contarini dalla parrocchia di S. Paterniano, ove nacque eziandio il doge Andrea, nipote di Paolo. Questo ramo dei Contarini possedeva in chiesa di S. Paterniano l'altare del Crocefisso colla propria tomba d'innanzi. Circa il palazzo, esso nel secolo trascorso passò in proprietà dei Minelli, pel matrimonio, avvenuto nel 1717, fra Elisabetta, figlia di Pietro Maria Contarini, e Giovanni Minelli. Fu acquistato poi nei primi anni del nostro secolo dalla ditta Emery, dalla quale l'ebbe a pigione Arnoldo Marseille, che v'aprì e vi tenne per molt'anni un albergo detto del «Maltese», originando così la prima denominazione portata dalle prossime vie. Finalmente nel 1852 venne lasciato, per testamento, alla confraternita dei poveri della parrocchia di S. Luca, ed ora vi ha sede la Congregazione di Carità. La scala ebbe di recente, unitamente al palazzo, un ristauro. Quanto alla seconda denominazione assai più antica, leggasi, come nei catasti, «dei Rizi», e non «dei Risi». E' probabile che qui abbia abitato una famiglia «Rizo», o «Rizzo», perocché in una delle «mariegole» appartenenti alla scuola di S. Maria della Misericordia (an. 1308-1499) trovasi ascritto qual confratello un «Zamaria Rizo» da S. Paterniano, e giusta le Condizioni del 1582, un «Piero de Rizi» faceva il suo domicilio allora nella medesima parrocchia. • Salizzada Si dà questo nome alle vie più larghe, come quelle che furono le prime ad essere lastricate. Nei primi tempi si camminava sul nudo terreno, od al più coperto di erba, ed era lecito di cavalcare per la città. Le donne, per ischivare il fango, usavano di altissimi zoccoli, che nel 1409 vennero proibiti. Leggesi in un cronista che nel 1264 si «diè principio a salizzare le strade», e ciò si fece con mattoni posti in piano, od in taglio. Allora divenne meno frequente l'uso del cavalcare, che però nemmeno nei secoli XIV e XV era cessato del tutto. Finalmente nel 1676 s'incominciarono a selciare le vie di macigni per opera di Antonio Grimani, Provveditore di Comune. • S. Paternian (Calle, Ponte, Salizzada, Rio Terrà) Raccontasi che la famiglia Andrearda fondò nel IX secolo una chiesa di legno in onore del vescovo S. Paterniano, la cui immagine era stata trasportata a Venezia dalla Marca d'Ancona, e veneravasi in un piccolo tabernacolo nella pubblica via. Questa chiesa fu tosto fatta parrocchia e dotata di beni stabili dal doge Pietro Candiano IV nel 959. In seguito ebbe a patire varii incendi nel 976, nel 1105, nel 1168, e nel 1437, ma sempre rialzossi, e si mantenne aperta fino al 1810, epoca in cui venne soppressa, e ridotta a magazzino. Nel 1871 finalmente atterrossi col suo antichissimo campanile, costrutto l'ultimo anno avanti il mille da alcuni operai veneziani, scappati dalla schiavitù dei Saraceni. In questo campanile appiccossi nel 1562 il sacrista della chiesa medesima, come nota il codice Cicogna 1724 colle parole: «Die 26 Martii 1562 suspendit se laqueo in campanile, et periit sacrista S. Paterniani». Avendosi il 10 luglio 1631 riportato vittoria contro l'armata navale dei Turchi, comandossi che in tal giorno, sacro a San Paterniano, dovessero i musici della ducal basilica portarsi annualmente alla chiesa di esso Santo per cantare una messa solenne in ringraziamento dell'ottenuto beneficio. In contrada di S. Paterniano abitò, e vuolsi eziandio che venisse a morte, il dottissimo Aldo Manuzio, il quale aveva aperto in sua casa la celebre accademia da lui denominata Aldina. Una epigrafe posta recentemente in «Rio Terrà S. Paternian», sul muro laterale del nuovo edificio ad uso della Cassa di Risparmio, ricorda Aldo e la di lui famiglia. In «Calle di S. Paternian» abitava, come da altra epigrafe, Daniele Manin. • S. Luca (Campo, Ramo va in Campo, Salizzada, Rio) La chiesa di S. Luca si reputa innalzata nel XI secolo dalle famiglie Dandolo e Pizzamano, e tosto dichiarata parrocchiale. Nel 1442 ampliossi da Fantino Dandolo, che cesse a tale scopo alcune sue case vicine. Minacciando rovina, fu rifabbricata nel secolo XVI, e decorata nel 1581 della cappella maggiore. Nel 1827 ebbe improvvisamente crollato parte del prospetto, ma nel 1832, tanto all'esterno quanto all'interno, venne ristabilita. Anche nel 1881 subì altro interno ristauro. La parrocchia allargossi nel 1810 con quella di San Benedetto, e con parte di quella di S. Paterniano, ambo soppresse, nonché con alcune frazioni d'altre vicine parrocchie conservate. Perdette però in quell'incontro qualche brano assegnato a San Salvatore. In «Campo San Luca» sorge un piedestallo marmoreo, il quale sosteneva un'antenna, donde ne' giorni festivi svolazzava uno stendardo. Ciò indicherebbe, secondo il Sansovino, che qui è il mezzo, o l'umbilico, della città. Ma un altro accreditato cronista, e l'imprese delle Scuole della Carità e dei Pittori, scolpite sul piedestallo coll'anno MCCCX, insegnano invece essere questo un segnale della sconfitta che appunto la Scuola della Carità e quella dei Pittori fecero subire il 15 giugno 1310 in «Campo di S. Luca» ad una parte dei congiurati di Bajamonte Tiepolo. In parrocchia di San Luca, e precisamente sulla «Riva del Carbon», abitò e venne a morte Pietro Aretino il 21 ottobre 1556. Vedi Carbon (Riva ecc. del). Egli, come appare da fede del pievano d'allora Pietro Demetrio, recentemente pubblicata, venne sepolto «in un sepolcro novo vicino alli gradi della Sacrestia», sepolcro ora distrutto. Vi morì pure Girolamo Ruscelli, autore del noto «Rimario», e d'altre opere: «1566, Die 10 Maij. M. Jer.mo Ruscelli da Viterbo d'anni 48, amalà mesi 9 da dropisia et febre — S. Luca». E' fama inoltre che a San Luca mancasse ai vivi nel 1582 il celebre pittore Andrea Schiavone, e senza dubbio vi chiusero la loro mortale carriera nel 1585 Luigi Groto, detto il Cieco d'Adria, e nel 1588 Bernardino Partenio da Spilimbergo, pubblico lettore di greco, il quale venne sepolto nel chiostro di S. Stefano. Vi avevano domicilio il medico Giuseppe degli Aromatari, che nel 1611 stampò il libro intitolato: «Risposta di Gioseffo degli Aromatari alle considerazioni d'Alessandro Tassoni sopra le rime del Petrarca»; ed il pittore bavarese Gian Carlo Loth. Ciò si ricava dal testamento che fece quest'ultimo il 26 agosto 1698, in atti del notaio veneto Francesco Simbeni, ove si chiama G. Carlo Loth q. Ulderico da Monaco, e dice di testare in parrocchia di San Luca, nella casa di sua abitazione posta sul «Canal Grande». Potrebbe sospettarsi che questa abitazione fosse precisamente un piano del palazzo Loredan, ove molte opere del Loth conservavansi. Egli aggiunse al proprio testamento un codicillo il 28 settembre 1698, ed il 6 ottobre successivo era già morto, poiché in quel giorno si pubblicarono le di lui disposizioni testamentarie. Si ha dai «Registri dei Giustiziati» che il 27 marzo 1721 venne decapitato e squartato Domenico Rossi da Palma, garzone nella farmacia della «Vecchia» in «Campo San Luca», perché uccise Maria Alberti, meretrice, affine di rapirle quanto possedeva. Qual origine possa aver avuto l'antica insegna di tale farmacia, vedilo all'articolo Teatro (Calle e Ramo, Corte del) a San Luca. Era forse pell'esistenza di questa insegna che in «Campo San Luca», più frequentemente che in altri campi della città, davasi, a mezza quaresima, lo spettacolo dell'abbruciamento della «Vecchia». Varii fra noi devono ricordarsi di tale spettacolo, veduto nella loro fresca età. Raccolte spontanee offerte, e parato il campo di damaschi e bandiere, fabbricavasi un solaio, alto circa tre uomini da terra, sopra il quale ponevasi un fantoccio, rappresentante una vecchia con cuffia in testa, e larva sul viso, a cui due guardie rendevano ridicoli onori, mentre più o meno scordati istrumenti facevano echeggiare l'aria delle loro armonie. Frattanto avevano luogo altri spassi diversi, come quello di far volare per una corda qualche povero cane, legato ad un fuoco d'artificio; quello d'arrampicarsi sopra liscia ed unta antenna alla conquista di qualche salame, o fiasco di vino, attaccati alla cima; oppure quello di ghermire colla bocca un'anguilla, immersa in un mastello d'acqua tinta di nero, la quale ridicolosamente bruttava il volto dei campioni postisi al cimento. Alla fine accendevasi il fuoco sotto il solaio, ed, in mezzo alla comune allegria, ardeva, e cadeva in cenere il fantoccio. Più anticamente però la «Vecchia» non abbruciavasi, ma segavasi per mezzo, e ne uscivano fiori e confetti, che i monelli si contrastavano fra loro. • Fabbri (Calle dei) a S. Moisè Dalla Scuola dei Fabbri ferrai. Fino dai primi tempi i Fabbri ferrai erano numerosissimi nella nostra città, e formavano un corpo, sopra il quale gli antichi dogi invigilavano. Rilevasi dal Sagornino, che nei principii del mille questi artieri dovevano lavorare una data quantità di ferro per conto del fisco, cioè dei dogi, che allora commerciavano come i privati. Nel 1162 i Fabbri si segnalarono contro Wuldarico, patriarca d'Aquileja, laonde nella festa del Giovedì Grasso, istituitasi in commemorazione della riportata vittoria, essi procedevano in «Piazza S. Marco», armati all'antica, tagliavano, insieme ai Beccai, la testa al toro, ne dispensavano la carne ai poveri, e finalmente, fra i musicali concenti, s'assidevano a lieto convito. Non sappiamo precisamente in qual epoca la loro confraternita siasi stabilita nella chiesa di San Moisè, ma vi esisteva fino dai tempi del Sabellico che la ricorda. Sappiamo poi che nel 1583 passò improvvisamente nella chiesa di S. Vitale, ma ritornò nel 1602 in quella di San Moisè, presso la quale, fino dal 1584, aveva fatto acquisto da Pietro Balbi di quattro vecchie case, e di altre due vicine dalla famiglia Cappello, ad oggetto di costruire la Scuola di cui parliamo, e che dà il nome al sentiero da noi illustrato. Un inventario, riportato da Agostino Sagredo («Sulle Consorterie delle Arti Edificative in Venezia»), ci fa sapere che nel piano terreno di questo edificio eravi il deposito del carbone, ed un'altra stanza ad uso comune; a metà della scala una stanza tappezzata con cuoi dorati, che serviva pell'elezioni e l'adunanze degli ufficiali; nel piano superiore la sala grande con altare di legno dorato e dipinti di celebri autori; nel terzo piano poi l'archivio, ed una stanza pell'armi destinate alla funzione del Giovedì Grasso. I fabbri costrussero pure nel 1696 un altare nella chiesa di S. Moisè. Non paghi d'un solo santo titolare, ne avevano quattro, cioè «S. Alò» (S. Eligio), «S. Liberale», «S. Carlo», e «S. Giovanni Battista». La loro Scuola, dopo la soppressione delle Confraternite, servì per qualche tempo a ricetto di povere, e quindi per molti anni a teatro di marionette. Ora serve a magazzino. Un'altra Calle a San Marco è detta «dei Fabbri» per le varie officine fabbrili che tuttora vi esistono. Qui abitava in una splendida ed ampia casa «Antonio Lotti», maestro di cappella in S. Marco. Egli morì il 5 gennaio 1739 M. V. Vedi: Caffi, «Storia della Musica Sacra nella già Cappella Ducale di S. Marco in Venezia. Venezia, Antonelli, 1855». • Calle dell'Ovo o Calle al Ponte del Lovo Anche a San Salvatore esistono un «Ponte», ed una «Calle al Ponte del Lovo», denominati da una famiglia dello stesso cognome. Nelle Condizioni del 1566 troviamo un «Antonio Lovo» domiciliato a San Salvatore in uno stabile dei Gabrieli, e nei Necrologi Sanitarii un «Bortolo Lovo», pur esso da San Salvatore, morto il 4 giugno 1570. Sappiamo poi che un «Luigi Lovo» mandò all'asta nel 1675, per debiti di Pasqualin Pizzoni, l'altare di San Lorenzo, che i Pizzoni possedevano in chiesa di S. Salvatore. Il Campo S. Salvador si apre a sinistra al termine delle Mercerie con le due bianche facciate di S. Salvador e dell'ex scuola di S. Teodoro che incorniciano il passaggio di calle dell'Ovo, curiosa per la inusuale pavimentazione in granito rosso. Al centro è la colonna commemorativa (1898) della rivolta della città nel 1848 contro gli austriaci. • Parrocchia Nei primi tempi i Veneziani più ricchi raccoglievano intorno a sé sulle «tumbe» e sulle velme, ove abitavano, degli altri cittadini meno agiati, sopra i quali spandevano la loro protezione. I primi chiamavasi «convicini»; i secondi «clienti». Ne nacquero degli assembramenti di domicilii che sempre più s'ingrandirono, e nel cui mezzo si fabbricarono delle chiese. Ecco la origine delle così dette «plebi», «parrocchie», o «contrade». Le parrocchie di Venezia nel 1741 erano 73, nel 1807 furono ridotte a 40, e nel 1810 a 30, come sono oggidì. • Merceria (Ramo della) a S. Giuliano Mette alla «Merceria», cioè a quella strada che dalla «Piazza di S. Marco» conduce al «Campo di S. Bartolomeo», e che dividesi in «Merceria dell'Orologio» dal prossimo orologio di S. Marco, ed in «Merceria di S. Giuliano», «di S. Salvatore», e «di S. Bartolomeo», dalle prossime chiese di questi santi. La «Merceria di S. Bartolomeo», per la sua ristrettezza, era detta anche in vernacolo «Marzarieta», ma oggidì, ampliata, si dice: «Via Due Aprile». Il nome di «Merceria» proviene dalle molte botteghe di merci, che la fiancheggiavano e la fiancheggiano tuttora. L'arte dei «Marzeri» (merciaj) era molto antica in Venezia, esistendo documento delle sue rappresentanze fino dall'anno 942. Sembra però che incominciasse ad avere ordini e regole stabili soltanto nel 1446, 23 marzo, poiché da tal data incomincia la di lei «mariegola», che si conserva nel R. Archivio. Vedi anche il «Ristretto Generale di tutte le parti della Scuola dei Merciai sino il 22 settembre 1612» colà parimente conservato. I Merciaj stavano sotto il patrocinio di M. V. Assunta, ed anticamente radunavansi in chiesa delle Vergini, da cui nel 1323 passarono in quella di San Daniele. Poscia, con istrumento 3 agosto 1452, ottennero per le loro radunanze a livello perpetuo dal parroco e capitolo di San Giuliano una casa situata nella così detta «Calle a fianco la Chiesa», ed in chiesa di S. Giuliano fabbricarono pure il 7 febbraio 1487 un altare, sostituito da un altro l'11 settembre 1534. Essi non furono da meno dell'altre Arti nell'onorare la venuta a Venezia dell'imperatore Federico III nel 1452. I «Marzeri», ricorda la cronaca del Trevisan (Classe VII, Cod. 519 della Marciana), «fecero un burchio grande, con un soler da pope a prova tutto fornido de rasi, et in mezzo una torre granda e tonda, sulla quale tre file di putti una sopra l'altra, tutti vestidi de bianco come anzoleti, e con cembali in mano; erano più di 60, et in la cima erano tre come la Trinità, e si volgevano attorno a se stessi, tirado da ottanta remi; altro con gran ruota che girava con otto putti, degli angeli che sempre stavano in piedi dreto, e a pope l'effigie de tutti gli imperatori Romani, armati all'antica, poi tante ninfe danzanti a suon di pifferi e trombe; era pur tirato da 80 remi. Andò la comitiva da S. Clemente alla casa del Duca di Ferrara apparecchiada de rasi et altre sede». I Merciaj, al cadere della Repubblica, dividevansi in otto colonnelli, enumerati partitamente dal Cicogna nelle sue «Inscrizioni» dietro la scorta del manoscritto Dal Senno. Dice il Dezan che fino dal 1339 si prese a nobilitare la «Merceria» col tagliare gli arbori che crescevano in qualche punto, e col rimuovere i così detti «reveteni», o «pozzuoli», posti a preservazione delle case. Fu questa la prima strada nella quale, sotto Nicolò Sagredo, doge dal 1675 al 1676, siasi sostituito all'antico pavimento di mattoni cotti il selciato di macigno, che incominciò a rifarsi il 26 gennaio 1743 M. V., compreso anche il «Campo di S. Bartolomeo». Per la «Merceria» facevano il loro ingresso i Patriarchi, i Procuratori, ed i Cancellieri Grandi. L'ingresso dei Procuratori era il più magnifico e sfarzoso. In tale occasione i mercanti sfoggiavano la maggior ricchezza ed il maggior buon gusto possibili nel mettere in mostra gli oggetti della loro industria, lavori d'arte di pregio, quadri, intagli ecc. I Procuratori poi li regalavano di pani di zucchero in ricompensa della dimostrazione che loro avevano data d'affetto, addobbando in tal guisa le loro botteghe. • SS. Salvatore (Parrocchia, Campo, Rio, Merceria di) La chiesa del SS. Salvatore venne fatta innalzare in tempi antichissimi dalle famiglie Carosii e Gattolosi per esortazione di S. Magno. Dicesi aver avuto ne' suoi primordi il pavimento formato di grate di ferro, sotto il quale scorreva l'acqua alla foggia della chiesa del Sepolcro in Gerusalemme. Nel 1141 Bonfiglio Zusto, che ne era pievano, abbracciò col suo clero l'ordine dei Canonici Regolari di S. Agostino per cui soffrì molte persecuzioni dal vescovo di Castello, e morì trucidato in Veglia, ove aveva cercato un rifugio. Nondimeno i papi Innocenzo II ed Eugenio III approvarono l'istituto dei nuovi canonici, ed Alessandro III, venuto a Venezia, consecrò il 29 agosto 1177 la loro chiesa. Essi si disposero a rifabbricarla sotto il priore Gregorio Fioravante, eletto nel 1182, e sebbene turbati da nojosi litigi col clero di S. Bartolammeo, la condussero a perfezione nel 1209. Caduti coll'andar del tempo in grave rilassatezza di costumi, il monastero fu ridotto in priorato, ed il cardinale Gabriele Gondulmer, uno fra i priori di esso, v'introdusse nel 1427 i canonici Lateranensi di S. Maria della Carità, ma questi, dopo pochi mesi, stimarono opportuno di ritirarsi. Vi furono sostituiti nel 1442 dallo stesso Gondulmer, già assunto al pontificato col nome di Eugenio IV, i canonici regolari della congregazione di S. Salvatore di Bologna, che ristaurarono gli edifici a loro concessi. Soltanto però dopo il 1507 la chiesa di S. Salvatore cominciò ad assumere l'odierna magnificenza sopra modello di Giorgio Spavento, e colla sopraintendenza di Pietro e di Tullio Lombardo, ottenendo compimento nel 1534 coll'ajuto del Sansovino. Nel 1663 fu adornata dell'attuale prospetto, disegnato dal Longhena o dal Sardi, dietro lascito del ricco mercadante Giacomo Galli. Nel 1739 ebbe consecrazione per mano di Francesco Corner patriarca di Venezia. Finalmente il 22 novembre 1866 dovette chiudersi per generale restauro, né fu riaperta prima del 3 agosto 1879. Allora innestossi sull'angolo della facciata verso Merceria una palla di cannone colla data del 6 agosto 1849 in memoria che quel punto venne in quel giorno colpito da un proiettile scagliato dagli Austriaci durante l'assedio posto a Venezia. Il monastero di S. Salvatore si riedificò nel 1540 da Tullio e Sante Lombardo e dal Sansovino. Sembra però che restasse compiuto soltanto nel 1564, come appare da lapide esterna, esistente sopra l'angolo della muraglia che guarda il «Ponte del Lovo». Nel 1810 si ridusse a caserma. Quanto all'istituzione della parrocchia, essa rimonta all'origine della chiesa. Nel 1810 le si aggiunse la soppressa parrocchia di S. Bartolammeo e porzione di quella conservata di S. Luca. Narrano alcune cronache che, quando nel 1177 papa Alessandro III riparò sconosciuto a Venezia, dormì la prima notte del suo arrivo sotto il vestibolo della chiesa del SS. Salvatore. Ciò si ricorda da un'iscrizione, che leggesi sottoposta all'effigie di questo pontefice nel vestibolo appunto della chiesa, dalla parte della «Merceria». Dicesi ancora che in «Campo di S. Salvatore» eravi un pozzo profondo con vasca d'acqua all'ingiro, e con una prossima ficaja, alla quale, quando costumavasi di cavalcare per la città, i viandanti legavano i loro cavalli giacché, per un decreto del 29 febbraio 1287 M. V., era proibito, a cagione del grande concorso, di percorrere la «Merceria» cavalcando. In parrocchia di San Salvatore stanziava il tipografo Nicolò Jenson, che fino dal 1470 pubblicava libri in Venezia. Nella «mariegola» della scuola di S. Girolamo sta scritto: «Nicolò Xanson stampador. S. Salvador». Nel circondario di S. Salvatore venne ucciso il 21 luglio 1506 Giacomo Gradenigo, che però non era di sangue patrizio. Scrive il Sanudo sotto questa data: «E in questo zorno poi disnar da uno francese fo amazà domino Jacomo Gradenigo: haveva benefici et feva la sua vita a San Salvador, homo pacifico, et per voler pacificar la moglie col marito, fo amazato dal deto marito, era francese e falconier del re». Presso la chiesa di S. Salvatore Marco Giustinian, uno dei X, riportò il giovedì grasso del 1579 da una maschera grave ferita sul capo, che in breve lo trasse al sepolcro. E nel giovedì grasso del 1602 Nicolò Moro q. Santo venne ucciso con altri tre patrizi nella contrada medesima, avendo voluto frammettersi acciocché un cotale non traesse seco a viva forza una donzella. • Do Aprile (Via) a S. Bartolomeo Venne formata nel 1884 mediante l'allargamento della «Merceria di San Bartolomeo», o «Marzarieta». Ricorda col proprio nome il giorno due aprile 1849 in cui l'assemblea Veneta decretava di resistere all'Austriaco ad ogni costo. • S. Bartolomeo (Merceria, Campo) La chiesa di S. Bartolammeo si reputa fondata nell'840, ed intitolavasi prima a S. Demetrio martire di Tessalonica. Rinnovossi sotto il Doge Domenico Selvo nel 1170, e dedicossi a S. Bartolammeo. Era parrocchiale fino dalla sua origine; momentaneamente però venne assoggettata, nel 1195, ai Canonici di S. Salvatore, dalla qual soggezione restò libera poco tempo dopo. Nel 1342 fu unita dal pontefice Giovanni XXII, alla mensa patriarcale di Grado, la quale ne eleggeva il parroco, diritto che passò poi a quella di Venezia. Dopo varii ristauri si ridusse finalmente alla forma attuale nel 1723, e nel 1810 divenne succursale di S. Salvatore. Il vecchio campanile di S. Bartolammeo, demolito nel 1747, venne poi rifabbricato, e ridotto a compimento nel 1754. In parrocchia di S. Bartolammeo abitava Raffaele Zovenzonio, celebre poeta triestino del secolo XV. Ciò si deduce dalla «Mariegola» della Confraternita di S. Girolamo, di cui egli era socio. In parrocchia di S. Bartolammeo abitava pure il pittore Vincenzo Catena, che, col suo secondo testamento, 15 aprile 1530, in atti Zaccaria de Priuli, lasciò tutto il suo residuo alla Scuola dei Pittori, perché comperassero uno stabile per le loro riduzioni. Perciò l'albergo dei Pittori, in «Calle Sporca» a S. Sofia, aveva la seguente lapide commemorativa, donata poscia da Giovanni David Weber al Seminario della Salute: Pictores Et Solum Emerunt Et Has Construxerunt Aedes Bonis a Vicentio Catena Pictore Suo Collegio Relictis. MDXXXII. La notte dal 12 al 13 maggio 1797 avea luogo presso la chiesa di S. Bartolammeo un lagrimevole fatto. Acceso di furore il popolo contro coloro che erano stati i principali motori della resa di Venezia ai Francesi, facevasi a saccheggiare le case dei rei, e, come avviene in simili casi, non rispettava neppure quelle degli innocenti. Allora Bernardino Renier ordinava che si ponessero alcune artiglierie sulla sommità del «Ponte di Rialto» per impedire ai saccheggiatori di varcarlo. Appena dunque che questi, per nulla intimoriti, s'avvicinarono tumultuando, davasi fuoco alle miccie, e la via sottoposta riempivasi di sanguinosi cadaveri. Fatale destino che il cannone di S. Marco dovesse tuonare per l'ultima volta non contro i proprii nemici, ma contro i propri figli! Il «Campo di S. Bartolomeo», coll'atterramento di varii stabili, venne notabilmente ampliato nel 1858. Nel 20 decembre 1883 s'inaugurò in mezzo ad esso il monumento a Carlo Goldoni, la cui statua in bronzo venne eseguita dallo scultore Dal Zotto. • Bissa (Calle della) a S. Bartolammeo Acquistò il nome dalle sue tortuosità somiglianti ai serpeggiamenti d'una biscia. Ce lo attesta chiaramente il Sabellico («De Situ Urbis»), da cui è chiamata «vicus qui, in anguis speciem retortus, anguineus dicitur». Si trova nominata nel libro «Spiritus» fino dal 1340. In questa Calle e nei luoghi circonvicini, verso il «Ponte dell'Olio», stanziavano i Lucchesi, i quali nel secolo XIV, a più riprese, emigrarono dalla loro patria, e, se non portarono, perfezionarono al certo in Venezia l'arte della seta. «Li qual Lucchesi» (dice il Codice 939, Classe VII della Marciana) «se ne vennero a Venetia, et li fo consegnata la Calle della Bissa, et chiamaronla la Calle dei Thoscani, et lì fecero le sue botteghe, et creorno l'officio ch'al presente si trova dietro la chiesa, chiamato l'officio della Seda». La chiesa accennata dalla cronaca è quella di S. Gio. Crisostomo, dietro la quale havvi tuttora uno stabile, col N. 5864, adorno degli stemmi di varii Provveditori della seta, e dall'iscrizione: «Provisores Sirici». Perciò la prossima Corte, ora detta «del Forno», dicevasi «Corte della Seda». Il citato Sabellico, parlando dei fondachi che al suo tempo eranvi nella tortuosa «Calle della Bissa», così si esprime: «Illi ipsi ambitus densissimis sunt officinis referti, in quibus omnis urbicus purpureae texturae apparatus, non sine spectantium admiratione, conspicitur; incredibilis opificum manus in auro et serico varii coloris explicando est occupata». Leggiamo nei «Diari» del Sanudo: «A dì» (26 marzo 1506) «la matina achadete che apresso il Fontego di Todeschi che si lavorava in una calle chiamata di la Bissa, a hore 1/2 terza cazete certa casa vechia, et amazò n. 5 che passava de lì via, et altre magagnoe. E' stà cossa notanda». Un incendio arse in «Calle della Bissa» il 18 ottobre 1728. Il prete Antonio Nardini, nel suo libro intitolato: «Series Historico-chronologica Praefectorum qui ecclesiam... S. Bartholomaei rexerunt», dice che questo incendio avvenne sotto il vicariato di Giovanni Betolli, e che, per voto, la chiesa di S. Bartolammeo prese a commemorarne l'anniversario coll'esposizione del SS. Sacramento. SE MAGNA Appena entrati una zelante cameriera, con un accento strano, ci indica un tavolo vuoto e ci fa accomodare. Ci porta i menù e sparisce in attesa che noi leggiamo il tutto. Mi guardo intorno e mi sembra di essere dall'Aldina, il concetto perlomeno è questo, un ristorante al primo piano dello stabile, ma data l'altezza (o bassezza) del soffitto, incomincio a credere che sia un soppalco, sul soffitto i travoni in legno che non sono però presenti al piano di sotto, finestre non finestre, a mezza altezza, finestrini tipo solaio, ambiente strano ma accogliente. Ricompare la cameriera e ci chiede prima cosa vogliamo da bere. Acqua gas e una di bianco, chiedo un Prosecco. Rivà e ritorna coi beveraggi. Per la cronaca Prosecco di Valdobbiadene, Bortolomiol, Prior Brut, non era indicato l'anno. La ascolto un po' e non capisco il suo strano accento, è uno strano veneziano ma non mi convince…. Per forza, mi confessa che è moldava. Comunque complimenti, carina, buon italiano, preparata anche sui vini e cameriera precisa e solerte. Ordiniamo: 2 sarde in saor, 1 insalata di pesce, 1 tris di baccalà, 1 calamari fritti, 1 seppie ai ferri. “Il saor, sapore in dialetto, è un modo gustoso di preparare le sarde o altri piccoli pesci, ed è il piatto che tipicamente si consuma a Venezia durante la festa del Redentore. La preparazione del saor prevede l'utilizzo di aceto, uvetta, pinoli e spezie.” Se andate qui http://www.riviera-brenta.it/dynalay.asp?PAGINA=2521, trovate anche la ricetta. Tutto buonissimo, tutto accompagnato da fette di polenta, le sarde eccezionali, i calamari fenomenali, le seppie perfette. Il tris era composto da b. mantecato al latte, b. con aglio e prezzemolo, b. alla vicentina con la cipolla. Unica pecca, poca abbondanza. Alla fine io mi sono leccato i baffi, i miei nipoti non ce li hanno e me li sono rileccati anche per loro. Vino seccato senza fatica. La caratteristica di questo locale è la possibilità che l'avventore ha di scegliere come mangiare e quindi quanto spendere. Mi spiego. Locale fatto a misura del veneziano, riadattato al turista e improntato per pranzi/cene di gruppo o intimi. Vuoi spendere il minimo? Entri, passi al reparto rosticceria, guardi, estrai la lingua famelica e ordini, porti tutto a casa o in B&B o sotto un ponte o dove ti pare e ti slappi quel bendiddio dove ti pare, come ti pare e quando ti pare e con chi ti pare. Vuoi spendere poco ma non sai dove andare? Ti siedi in vetrina alla tavola calda, prendi la stessa roba della rosticceria, stai al caldo d'inverno e al fresco d'estate, sei seduto, nessuno ti caccia via e mangi tranquillo. Non ti interessa la spesa, non ti piacciono gli assembramenti, non ti va di mangiare in vetrina come le scimmie allo zoo? Sali al primo piano e c'è il ristorante dove stai comodo e sei servito e riverito. CONTO Spesa contenuta nella media dei ristoranti veneziani se facciamo il conto a cranio, ma siccome abbiamo mangiato un po' misto ….. 3 coperti 6 € 2 sarde in saor 19 € 1 insalata di pesce 12.50 € 1 tris di baccalà 15 € 1 calamari fritti 13.50 € 1 seppie ai ferri 15 € 1 acqua 2.60 € 1 vino 13 € Per un totale di 96.60 € in tutto. CONCLUSIONI Ideale per una gita di un giorno se non ti vanno i panini. Ideale se ci vai qualche giorno perché non puoi vivere di soli panini o sempre al ristorante (non siamo tutti Rockfeller….). Ideale se affitti una camera o un appartamentino, perché non devi impazzire a cucinare o a cercare i pochi supermercati che sono (COOP ed altri) sparsi per le calli. Ideale se vuoi passare una giornata non da turista ma da veneziano. 5 cappelli li merita tutti. 52008-11-13 00:00:002008-11-13 00:00:0033.001
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