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Recensione su , scritta da grog il 2010-04-03

Ho tenuto questa recensione come ultima, in questo periodo non sto bene fisicamente e devo assentarmi dalle libbagioni per qualche mesetto, il cuore comincia a fare troppe bizze, ed ho solo lui, se lui mi abbandona allora sì che sono cavoli per diabetici. Ho riflettuto parecchio su questa mia decisione e credo di aver fatto la scelta giusta, se mai poi dovessi sgarrare non lo verreste mai a sapere. Sono costretto a rallentare il mio attuale stile di vita e ad adottarne uno un po' più da vecchietto, senza ovviamente nulla togliere al rilassamento e al divertimento. Le riflessioni sono reconditi pensieri che la nostra mente, inconsciamente, conia, e che noi percepiamo come profonde elucubrazioni del nostro subconscio, facendoci credere di avere un'anima, una coscienza che ci consiglia da dentro... E noi riflettiamo su quello che proviamo, su quello che vediamo, insomma, su tutto cio' che ci circonda... ... piu' o meno intensamente ... ... piu' o meno profondamente ... ... piu' o meno velocemente ... E la riflessione, spesso, ci impedisce di sbagliare, ma altrettanto spesso puo' essere fatale ... L'istinto e la riflessione dovrebbero andare di pari passo, purtroppo la nostra vita frenetica ci impone scelte repentine, a volte decisamente inadeguate. Se non riusciamo a fermare il mondo non potremo mai scendere, allora proviamo almeno a rallentarlo ... by GROG Colgo anche l'occasione per recensire questo stupendo locale con la mia 140° recensione. APPROPINQUAMENTO Sabato, finalmente liberi da ogni casotto, io e la mia mogliettina partiamo per quel di Finale Emilia, come mi dice lei durante il viaggio, “a casa di Dio”. ----------------------------------------------------------------- Dal sito: http://www.turismocomunefinale.net/articoli/finale-emilia.html Finale Emilia Il territorio di Finale Emilia costituisce l'estremo lembo della Bassa modenese confi nante con le province di Ferrara e di Bologna. E' situato a 15 metri sul livello del mare e comprende le frazioni di Massa Finalese, Reno Finalese, Casumaro, Canaletto e Casoni. Sebbene nelle circostanti campagne siano affiorati reperti dell'età del bronzo e di epoca romana, Finale come borgo nasce soltanto all'inizio del secolo XI (le prime notizie risalgono all'anno 1009 e sono riportate in un documento nonantolano che estimonia l'esistenza di un castrum chiamato Finalis in località San Lorenzo). Da sempre terra di confine, come indica il suo nome, esso fu fortificato dai Modenesi nel 1213 e nel 1306; di tali fortifi cazioni medioevali sussistono la Torre dell'Orologio, il mastio del Castello delle Rocche e parte delle mura. Nel XIII secolo il canale Naviglio (nel quale nel Quattrocento furono immesse le acque del fiume Panaro), fu deviato ed introdotto attraverso la porta occidentale nel cuore del borgo. Con la creazione di un'ampia darsena situata ai piedi della Torre dell'Orologio, Finale si dotò di un porto fl uviale che ontrollava la navigazione tra Modena e Ferrara. La via d'acqua, che sfociando nel Po favoriva i contatti anche con la vicina Repubblica Veneta, permise al paese di acquisire una crescente importanza sia commerciale che militare. Nel Quattrocento il castrum primitivo cominciò ad ampliarsi oltre le mura e la sua popolazione aumentò vistosamente. L'incremento delle attività commerciali ed artigianali, unito alla facilità dei trasporti, attirò a Finale gli ebrei, che vi si insediarono nel 1541 dando vita ad una fiorente comunità. Dopo l'abbattimento delle mura, che avvenne nel 1554, il paese si ampliò ulteriormente acquisendo nuove strade ed edifici, tra i quali spicca oggi la chiesa del Rosario. Oltre lo spazio occupato anticamente dalle fosse furono eretti magnifici palazzi nobiliari e nei primi decenni del Seicento si edificarono ben quattro conventi (Santa Chiara, la SS. Trinità, San Francesco d'Assisi, San Francesco di Paola), che vennero ad aggiungersi ai due già esistenti degli agostiniani e dei cappuccini. Oltre ai conventi, nel Cinquecento e nel Seicento sorsero numerose chiese: otto sono presenti attualmente, sei delle quali aperte al culto. Per il suo aspetto romantico di città d'acqua, attraversata da tre canali e otto ponti, Finale si guadagnò l'appellativo di “Venezia degli Estensi”. Rimasto dal 1288 al 1859 sotto il dominio della Casa d'Este (fatta eccezione per i periodi 1306 – 1329, 1510 – 1521 e 1796 – 1814), ottenne nel 1779 da Francesco III, duca di Modena, il titolo di città. Alla fine del XIX secolo, quando fu chiuso e quindi interrato il ramo del Panaro che l'attraversava, esso perse il suo aspetto secolare di città d'acqua e cambiò definitivamente il suo assetto urbanistico insieme a quello economico, già da qualche decennio impostato prevalentemente sull'agricoltura. Tale connotazione rimase immutata sino al 1973, l'anno in cui si diede avvio alla costruzione di un polo industriale in località Ca' Bianca. Attualmente l'economia si basa su una serie di attività molto diversificate, tra le quali prevale l'industria ceramica. ----------------------------------------------------------------- Ci andiamo giusto per vedere la mostra di un mio amico, il mitico Giorgio Boschetti, allestita presso la Chiesa dell'Annunziata, in Via Saffi. Una volta giunti troviamo facilmente la via e un parcheggio comodo, e poi andiamo a visitare questa mostra interessantissima, intitolata “La bicicletta in mostra”, dove ho trovato sia le meravigliose elaborazioni delle fotografie di Giorgio sul tema bicicletta, ma anche l'allestimento delle “Biciclette degli antichi mestieri della collezione di Bruno Ferrari”. La pubblicità recitava: “Si tratta di Fotoimmagini elaborate da Giorgio Boschetti e di pezzi da museo – biciclette degli antichi mestieri, persino quella dei pompieri, del medico, dell'arrotino, del sacerdote, del lattaio – che appartengono alla preziosa e rara collezione di Bruno Ferrari che gentilmente l'ha messa a disposizione.” Finito di vedere il tutto, chiediamo a Giorgio dove ci consiglia di andare a mangiare, io ero partito da Modena con un elenco di probabili locali, ma lui ci consiglia di andare alla Fefa, dalla Giovanna, un sua vecchia compagna di scuola. Seguendo le sue indicazioni vado a parcheggiare nella piazzetta dietro al Castello, l'Osteria è esattamente dalla Parte opposta. Facciamo due passi e finalmente raggiungiamo la nostra location. ----------------------------------------------------------------- Dal sito: http://www.osterialafefa.it/la%20storia/la%20storia.htm “A due passi dalla quattrocentesca Rocca Estense, sotto i portici di una casa pregevolmente restaurata nel centro storico, si trova questa accogliente osteria, già attiva dalla metà dell' 800. La Storia L' Osteria La Fefa deve il proprio nome alla signora Genoveffa, che gestì questo storico locale all' inizio del secolo scorso. La Denuncia n. 78 del 1853 riporta gli estremi di un rogito del 1851, che ne attesta l'esistenza già dal 1786. Per 4 secoli è stata il luogo dove si fermavano a mangiare e soprattutto a bere un bicchiere di vino, i paroni, marinai d'acqua dolce che trasportavano sul fiume merci di ogni tipo. Fino ai primi del '900, il ramo del Panaro "Della Lunga" ha attraversato il paese. I mercanti attraccavano a piccoli moli le imbarcazioni colme di sale e spezie che, lungo il Po, giungevano da Venezia. Una sosta dalla Fefa (diminutivo di Genoveffa, un'antica proprietaria) divenne di rigore anche per gli "scariolanti" e i braccianti. Il locale si trova nel centro storico di Finale Emilia, sotto i portici di via Trento Trieste, uno dei più importanti viali cittadini che collega la torre medioevale “dei Modenesi" all' estense “Castello delle Rocche". Questa strada era anticamente il principale canale navigabile della “Venezia degli Estensi", il “Panaro della Lunga", che attraversava l'abitato, lambiva il Castello e costituiva la via di comunicazione più utilizzata tra Modena e Ferrara. L' Osteria rappresentava il tradizionale centro di ritrovo e ristoro sul fiume. L'Osteria la Fefa è stata recuperata, con un restauro il più conservativo possibile, cercando di mantenere il caratteristico clima da vecchia trattoria familiare con mescita di vino. ----------------------------------------------------------------- E' interessante vedere la sistemazione, l'Osteria vera e propria si trova in una casettina stretta fra due palazzi più grandi con portici, lo stile del carattere dell'insegna deve essere lo stesso di un tempo. Pareti esterne bicolori, “Rosso Modena” sotto al poricato e “Giallo Modena” il resto. Entriamo dalla porta a vetri e dopo un secondo ci viene incontro la padrona, vestita con un abito lungo nero, stile concertista, che le conferisce un'aria accattivante ed autoritaria allo stesso tempo, da badessa. L'ambiente è composto da una sala sulla sinistra con tavolini non apparecchiati ma coperti di volantini e brochure di mostre e quant'altro, sul fondo il banco/bar. Sulla destra invece si entra nella sala vera e propria, ben apparecchiata e illuminatissima da vetrate che danno su un cortile interno. Illuminazione accesa a faretti e pendenti. Sulle pareti oggettistica del tempo che fu e travi in legno in bella vista, pareti bianche per aumentare la luminosità. Appena dentro la Signora ci prende i giacchini e li porta al di là di una porta vetrata, attraverso la quale si può anche raggiugere il bagno. Noi ci accomodiamo in un tavolino un po' appartato, appoggiato ad una parete con mensola con sopra bottiglie di vino, vasi di vetro stile drogheria di una volta, ricordate le vecchie drogherie che esponevano quei vasoni di vetro trasparente con coperchi argentati di latta, con dentro caramelle sfuse di tutti i colori? Girelle e rondelle di liquerizia, caramelle Leone bianchissime, oppure le Valda verdissime e ricoperte di zucchero, che venivano pescate a pugni dalle mani (spesso sporche) del droghiere in barba alle leggi sull'igiene in vigore ai nostri tempi…. Alle pareti pentole e padelle di rame. Tutto l'arredamento è in arte povera, molto bello. IL DESCO Appena seduti la signora ci allunga i menù, liquido e solido. Gran carta dei vini, veramente pregevole. La leggo con le lacrime agli occhi, mi farei volentieri rinchiudere in cantina…. Siccome sono con la mogliettina e siccome non vuole che io beva perché teme che non riesca a guidare per tornare a casa (lo so che in molti rideranno come pazzi…), cerco una bottiglia da 375ml, e ne trovo una che mi ispira ed ordiniamo. Acqua gassata, alla fine saranno 2, una bottiglietta di Spumante Prosecco di Valdobbiadene DOC brut Nino Franco ----------------------------------------------------------------- PROSECCO BRUT Secco, fresco ed equilibrato Varietà e provenienza uve: 100% Prosecco, dai vigneti di media ed alta collina della zona di produzione classica. Tipologia: spumante brut. Colore: giallo paglierino, brillante. Profumo: molto fine, persistente, gradevole, con sentori di fiori e frutta. Abbinamenti: da aperitivo, con antipasti a base di pesce, o con risotti. Temperatura di servizio: 6° - 8° c. ----------------------------------------------------------------- Poi a seguire un antipasto e un primo a testa, poi si vedrà. Intanto ci viene portato il vino. Arriva e viene aperto al momento, mi viene fatto assaggiare, molto buono, delicato perlage, leggero, quasi etereo, sembra non avere sapore, poi dopo la prima boccata sensazioni floreali delicatissime. La bottiglietta viene appoggiata sul tavolo ed io resto un po' perplesso, poi arriva la signora col cestello con il ghiaccio….. aaaaahhhhh, mi pareva…… era a temperatura da cantina…. Andata che è la Sig.ra Giovanna, mi alzo e vado in bagno. Bello, pulitissimo, ci si può specchiare. Si esce dalla porta a vetri dove c'è il guardaroba e là c'è la porta della toilette, l'antibagno è in comune. Bello e moderno. Appena rientro trovo una sorpresa sul piatto, gentilmente offerto dalla casa un triangolino ripieno di pasta sfoglia. Lo taglio, infilzo i rebbi, lo porto alla bocca e …. ringiovanisco di 45 anni. Buuum. Improvvisamente cado all'indietro nel tempo. Che meraviglia. Il triangolino altri non è che la Torta degli ebrei, solo che questa ricetta è la stessa ricetta delle buricche delle zie. Devo spiegare chi sono le zie. Dunque, quando ero piccolo, sette/otto anni, a metà degli anni sessanta, in certe feste usavamo essere accompagnati da mia madre o da mia nonna a casa dalla zie. Noi abitavamo in Via Torre, uscivamo di casa, ci addentravamo nella galleria che mette in comunicazione via Torre con piazza Mazzini (una mini galleria con alcuni negozi, ricordo il barbiere) e sbucavamo dall'altra parte, giravamo a destra e prima del negozio di lampadari entravamo nel portone e andavamo dalle famose zie, che erano già vecchie allora, e qui ci veniva data una fettina di buricche. Le buricche erano una specialità appunto ebraica. Ricordo la bontà di questo piatto, era pesantissimo, pasta sfoglia ben imburrata. Veniva cotto in una teglia e tagliato da lì, si vedeva solo la superficie e la nostra grande speranza era quella di cuccare uno dei pezzettini di carne di manzo macinata e cotta in modo particolare che venivano stati messi all'interno alla rinfusa, così, random. Chi trovava la ciccia aveva diritto ad un altro pezzetto di buricca. ----------------------------------------------------------------- Dal sito: http://rezdore.provincia.modena.it/torta-ebrei.asp Il punto fondamentale della riuscita della ricetta della torta degli ebrei è indubbiamente il rispetto dei tempi, di lavorazione e di riposo. Non ci sono strumenti per tirare la sfogliata, si usano esclusivamente le mani. Se tende a ritirarsi vuol dire che non è ancora pronta per essere tirata. La torta degli ebrei nasce a Finale Emilia nel 1600-1650, per il desiderio di un ebreo convertito al cristianesimo di fare un dispetto agli ebrei. Era a conoscenza della ricetta della sfogliata, e mise lo strutto al posto del burro: il risultato fu eccezionale perchè la fragranza che dà lo strutto non c'è nessun grasso che la possa dare. Per questo lo strutto deve essere di buona qualità e deve essere mescolato agli altri grassi. Questa non è una storia, ma una realtà. A Finale Emilia abbiamo avuto una comunità ebraica molto grande. Le sfogliate esistono anche nei paesi orientali, però non sono come questa. Se la volete mangiare dovete venire a Finale Emilia, altrimenti ve la dovete fare in casa, non c'è niente da fare. Se la vedete da qualche altra parte del mondo, c'è sicuramente un finalese nascosto in cucina. Per i nostri nonni la sfogliata era la colazione, al mattino. A Finale Emilia si vendeva anche per le strade, c'erano delle vecchine con il loro braciere che tenevano in caldo la sfogliata e la gente l'andava ad acquistare. Adesso ci sono dei negozi e naturalmente si fa anche nei laboratori. Però la tradizione è la stessa, non cambia. La ricetta passa di casa in casa. La torta degli ebrei si consuma abbondantemente durante l'inverno, è il periodo ideale per mangiare la sfogliata che deve uscire dal forno fumante, croccante. E' una preparazione abbastanza nutriente: può essere una colazione, una merenda, una cena, un intrattenimento con gli amici, un antipasto, può sostituire la minestra perchè gli ingredienti sono tali e tanti che diventa un piatto unico. A Finale Emilia abbiamo anche la tradizione di mangiarla per le feste dei morti e dei santi. Dal sito: http://www.radioemiliaromagna.it/sapori_casa_nostra/ricetta/ebrei.aspx Cari ascoltatori, per celebrare anche da un punto di vista gastronomico la Giornata della memoria, che cade ogni 27 di gennaio, siamo andati a recuperare una ricetta di cui abbiamo già parlato due anni fa, una ricetta tipica della bassa modenese, lì proprio all'incrocio tra le province di Bologna e Ferrara. Parliamo della sfogliata o torta degli ebrei, un prodotto “tipico e tradizionale della Regione Emilia Romagna” che ha una storia molto antica. Andiamo infatti indietro nei secoli, al Cinquecento e al Seicento quando le terre del Ducato Estense, Ferrara e poi Modena, aprirono la porta a centinaia di ebrei scacciati dalla Spagna. Mettiamo a fuoco un piccolo paese, Finale Emilia, chiamato per i suoi canali e canalini la Piccola Venezia estense. E' lì che dal ‘600 si prepara un piatto della tradizione ebraica la sfogliata appunto, qui conosciuta come Torta degli ebrei, una torta salata che i Turchi chiamano “Burek”, importata a Finale dalla famiglia ebraica dei Belgradi. La ricetta di questa torta, documentata sin dal 1626, quando a Finale vivevano circa 350 ebrei, era tenuta segretissima rigidamente custodita dalla comunità, fino a quando intorno alla seconda metà dell'800 un ebreo convertito, Giuseppe Alfonso Maria Alinovi, la rese pubblica e iniziò a venderla sotto i portici di Santa Caterina, oggi Corso Mazzini ma variando gli ingredienti. Nella ricetta originale, la sfogliata era preparata con grasso d'oca, poi sostituito con strutto di maiale. Anche il vendere la sfogliata lungo la strada divenne presto una tradizione locale: anziane signore producevano la “torta” e la vendevano nel portico davanti casa, mettendola in mostra su un caratteristico treppiede di legno che sotto la padella di cottura della torta aveva le braci per mantenerla calda. La “tibùia” quest'ultimo nome derivato presumibilmente dal cognome di un antico venditore, Tiburzi, va consumata infatti ben calda, prevalentemente in inverno, quando fornisce calorie per difendersi dal freddo. In particolare, nella tradizione locale va consumata il giorno dei morti per rinfrancare i vivi nel giorno del dolore. Per preparare la sfogliata non è facile. Amalgamate e lavorate bene a lungo 350 g di farina con 10g di sale e un po' d'acqua fino ad ottenere un impasto morbido che farete riposare circa mezz'ora. Nel frattempo lavorate insieme 100 gr di burro e 70 gr di strutto fino a dar loro una consistenza cremosa e spalmabile. Dopo di che riprendete la pasta che suddividerete in diversi pezzi, cinque o sei, che tirerete con il matterello individualmente fino ad ottenere una sfoglia di forma rettangolare molto sottile che spennellerete con una parte del grasso. Tirate ad uno ad uno gli altri pezzi di sfoglia, che ungerete e sovrapporrete tra loro. Ripiegate quindi l'impasto su se stesso per tre volte e mettetelo a raffreddare per 20 minuti. Rimettetelo poi sul tagliere ricominciate a lavorare la pasta col matterello fino ad ottenere una lunga sfoglia rettangolare alta circa mezzo centimetro. Imburrate ora una teglia da forno rettangolare e foderatela con un terzo della sfoglia che cospargerete con 60 grammi di parmigiano tagliato a scaglie sottili e su cui spruzzerete un po' d'acqua. Ricoprite con il secondo strato di sfoglia che cospargerete con altrettanto parmigiano sempre ridotto a scaglie sottilissime e di nuovo un po' d'acqua. Sistemate infine la terza sfoglia che salderete alle altre premendo sul bordo. Incidete infine la superficie della sfogliata con la punta di un coltello poi mettete qualche fiocchetto di burro e cuocete in forno a 200° finchè la pasta non diventi bella dorata. Servite calda. La torta degli ebrei si produce ancora a Finale Emilia e viene venduta come il secolo scorso, durante la stagione invernale sotto i portici del centro del paese, conservata calda da piccoli fornelli. ----------------------------------------------------------------- E questo estemporaneo piatto offertoci alla Fefa aveva un sapore antico, un sapore che non ho mai scordato, un sapore che mi ha quasi commosso, lo stesso sapore delle buricche delle zie…. Me lo sono gustato profondamente, avrei chiesto il bis e me ne sarei andato immediatamente, tanta era la goduria e la felicità per aver riscoperto una parte della mia fanciullezza. Mentre mi sto ancora beando di ciò tediando mia moglie con racconti di un'infanzia felice e perduta, incominciamo il nostro pasto. * mousse di parmigiano reggiano con cremina di pistacchi, veramente molto gustosa e soprattutto degluttendo, in fondo alla gola non dava quel senso di “grattugia” che molto spesso questo formaggio causa. Questa portata viene presentata come un piccolo semicono bianco, dall'aspetto delicato, adagiato su una leggerissima cremina verde pastello. * prosciutto e salame d'oca, altro tipico piatto di origine ebraica, come dovreste sapere nella religione ebraica è assolutamente vietata la carme di maiale, e allora si utilizzava proprio l'oca per evitare la carne impura. Tenerissimi entrambi, delicatissimo il sapore, che andava dal delicato del prosciutto al più pungente e aromatizzato salame. Questa portata viene presentata con alcune fette non sovrapposte fra di loro di prosiutto da una parte e salame dall'altra, dolcemente distese su un letto di verdurina verde fresca. ----------------------------------------------------------------- http://www.locaducale.it/PAGINE/storia_salamedoca.html Storia del salame d'oca Le tradizioni ebraiche Se le oche sono sempre state un animale domestico molto comune in tutto il Nord Italia, in nessun altro luogo è stato creato un prodotto simile, se non in Lomellina. Qui le oche hanno trovato da sempre un habitat adatto per il loro allevamento ed hanno costituito per le popolazioni locali una fonte importante a livello alimentare. Già intorno al 1200, infatti, la Lomellina era già famosa per i suoi allevamenti di palmipedi e, come dimostrano alcune righe tramandateci dalla tradizione popolare, già si gustava il salame di carne d'oca. In Lomellina l'allevamento dell'oca ha tradizioni antichissime. In questa zona, da sempre, vi è abbondanza di acquitrini e ristagni d'acqua. Fu appunto in questa zona che gli Sforza ed i Consoli gambolesi cercarono di allevare e sviluppare l'allevamento del palmipede: seguiti fin dal 1400 da tutti gli agricoltori del circondario. Questi ultimi trovarono convenienza nell'allevare un certo numero di capi per disporre di carne per la confezione dei salumi e del grasso per condimento, da vendere in città ed in parte da destinare all'autoconsumo. A questi due prodotti si aggiungevano la piuma ed il piumino, materie prime per coperte o trapunte, che le massaie rurali utilizzavano per ottenere soffice piuma per i materassi da dare in dote alle figlie in età da marito. Nello stesso periodo, all'epoca di Ludovico Il Moro ed, in seguito, sotto la reggenza di Bona di Savoia, esisteva in Lomellina una potente comunità ebraica che commissionava ai salumieri della zona ciccioli e salami di sola carne d'oca. Gli ebrei furono forse, da quanto risulta dalle cronache comunali del tempo, i veri ispiratori ed i primi consumatori di questo insaccato, surrogato del vero salame di suino. Con la carne d'oca, i salumieri preparavano l'insaccato che allora assumeva la forma di un piccolo prosciutto o culatello. Notizie più sicure sulle origini del salame d'oca risalgono al 1780, l'allevamento di questo palmipede era molto sviluppato in tutta la Lomellina. L'oca, opportunamente tagliata in quartini, veniva posta per un certo periodo sotto grasso, in caratteristici contenitori di terra cotta, come già si usava per la carne di maiale. Con l'andare del tempo, l'accostamento oca-suino divenne un fatto usuale e le massaie stesse si accorsero ben presto che la carne del palmipede poteva rappresentare l'alternativa a quella di maiale. Iniziarono così ad applicare ad essa gli stessi accorgimenti usati per i lombi dei suini, poichè, se il suino costituiva per eccellenza la materia prima per la produzione di insaccati, altrettanto poteva diventarlo l'oca. Una volta stabilito questo principio, occorreva passare alla pratica confezione del prodotto, che trovò la sua naturale collocazione nella pelle del collo e del ventre del palmipede. Nasceva il "SALAME D'OCA". In buona sostanza è ragionevole pensare che proprio da questi gruppi di religione israelita sia nato l'impulso, diffuso poi anche alla popolazione cristiana, ad utilizzare la carne d'oca non solo secondo i tradizionali metodi di cottura, ma anche sminuzzata, mista a grasso ed aromatizzata, per produrre un insaccato che potesse durare per qualche tempo, da consumare sia cotto che crudo. Per la cucina ebraica il salame composto da carne d'oca è infatti una consuetudine e viene prodotto secondo ricette diverse nel rispetto dei dettami della cucina ortodossa, necessari per ottenere dal Rabbino la definizione di "Casher", ovvero puro, ancora oggi. Naturalmente si tratta di un prodotto a base esclusivamente d'oca, diverso dal tradizionale salame cotto che contiene anche carne di maiale. Proprio questa particolare caratteristica del salame cotto autorizza a pensare che il prodotto ebraico a base esclusivamente d'oca, sia passato poco a poco nella tradizione culinaria lomellina, arricchito ed insaporito da altri ingredienti che lo rendessero più pastoso e gustoso. Gli ebrei presenti nel ducato di Milano vennero espulsi in massa ed in via definitiva, dopo la Controriforma su pressante richiesta della Chiesa Cattolica, con un decreto firmato da Filippo II re di Spagna alla fine del 1596. Nel 1597 la maggio r parte degli israeliti aveva lasciato il ducato. Dopo quest'epoca le tracce di insediamenti ebraici si affievoliscono sempre più fino a quasi scomparire completamente. Una testimonianza eccellente: Pellegrino Artusi Quest'interpretazione dell'origine del salame d'oca, così come lo conosciamo oggi, proviene anche da una voce autorevole come quella di Pellegrino Artusi, autore del celeberrimo trattato di arte culinaria "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" che già dalla prima edizione del 1891 riportava, in una nota alla ricetta 548, relativa alle preparazioni a base di "Oca domestica", una testimonianza di come la preparazione di un insaccato d'oca, riferita in particolare alla cucina ebraica, in Lomellina continuasse ancora...Con la carne d'oca gli ebrei confezionavano anche il loro tradizionale salame (più simile, in verità, a un piccolo prosciutto o culatello) che sino a qualche anno fa si vendeva (e forse è possibile trovarne ancor oggi) in certe cittadine della Lomellina come Vigevano e Mortara... http://www.solofornelli.it/18012008/la-carne-doca-tanti-prodotti-diversi/ La carne d'oca: tanti prodotti diversi - Il salame d'oca, costituito da carne d'oca e carne suina lavorate con sale, pepe e aromi naturali. Come antipasto va affettato e servito a temperatura ambiente; come secondo piatto, va scaldato a bagno o a vapore. - L'ecumenico: è prodotto con carne magra d'oca, lamata a coltello, insaccata a mano nella pelle del collo d'oca e insaporita con aromi naturali, sale e pepe. La sua composizione a base di sola carne d'oca lo rende commestibile anche da persone di fede ebraica e musulmana. - I ciccioli: sono un prodotto tipico della Lomellina, ottenuti dalla lunga e “morbida” cottura della pelle dell'oca. Sono ottimi come antipasto da servire a temperatura ambiente. Come secondo, invece, si consiglia di intiepidirli al forno su una base di polenta. - Il fegato grasso d'oca (in francese: foie gras): è ottenuto dall'ingozzamento dell'oca con fichi o mais e può essere destinato a diventare una terrina (quando è più sodo e può reggere l'impatto con la fiamma) oppure un patè (quando è più cremoso). La terrina di fegato grasso d'oca viene cotta e conservata in una cocotte di porcellana ed è ottima con crostini di pane o in abbinamento con salse delicate. Il patè (in cui il fegato d'oca, burro, sale, pepe e aromi vengono cucinati ed emulsionati fino a ottenere una consistenza cremosa) è ottimo come antipasto o aperitivo, spalmato su tartine. - Il prosciutto d'oca e il petto d'oca sono prodotti anch'essi “kasher” (ossia permessi agli ebrei) ottenuti dalla stagionatura della coscia e del petto d'oca in appositi locali, dopo averli marinati a secco con sale, pepe, aromi naturali. Sono particolarmente adatti come antipasti o per accompagnare l'aperitivo, meglio se affettati a lama di coltello. Infine, non posso esimermi dal dare qualche informazione di tipo nutrizionale. Tra i vari tipi di pollame bisogna dire che la carne d'oca è sicuramente più ricca di grassi rispetto a pollo e tacchino: è infatti un cibo estremamente energetico, non a caso in passato consumato dai contadini prima del lavoro nei campi. Questo grasso è parzialmente eliminabile se si ha cura di spellare l'oca per esempio prima della bollitura (che dà un brodo squisito) e se la si cuoce allo spiedo senza aggiungere altri grassi. In compenso è una carne molto ricca di preziosi minerali, quali potassio, sodio e calcio. ----------------------------------------------------------------- * tortelloni di ricotta al sugo di pomodoro. Buoni e delicati, fatti in casa, ottimo ripieno dove nessun sapore sovrasta quell'altro, pasta soda sugli “stricchetti” e tenera e sottile al centro. Il sugo è minimalista, appena uno “schizzo” di salsa di pomodoro… * tortelli di zucca, perfetti, burro fuso in quantità precisa ben schiumato. Stesso discorso per i precedenti e ripeno eccezionale, ottima zucca dolce quanto basta, non eccessivo uso di amaretti o mostarda, in poche parole la nostra ricetta, al nostro palato la migliore. Pausa di riflessione, con scambi di chiacchiere e impressioni, poi ci facciamo riportare il menù, io ho ancora un buchetto aperto e mia moglie vuole il dolce. * fiordilatte caramellato, molto delicato. Stesso stampino della mousse, bianchissimo. A suo dire buono, ma sembrava panna cotta. * la mia portata consisteva in una mezza cialda di 3cm di diametro e 5mm di spessore di terrina di confit de canard (eddaglie coi volatili) accompagnata da una fetta di pan brisè. Perfetta, buona, saporita, si sposava beatamente col pane semidolce. Ho rimpianto di non aver ordinato un calice di Sauterne. Abbiamo finito, sazio e soprattutto felice e contento mi avvicino al banco per pagare. Due chiacchiere con la Signora, a cui ho fatto allora e rifaccio adesso i complimenti. Spesa finale, più due caffè, di 68 € totali. Sinceramente pensavo di spendere di più, considerato la qualità delle portate che ho preso, sono rimasto più che soddisfatto, ci tornerò sicuramente prima dell'estate per provare altri piatti. Il pranzo è stato stupendo, anche perché c'eravamo solo noi, a parte il marito e il figlio della titolare che hanno fatto una fugace apparizione. 4 € coperti 26 € antipasti 17 € primi 5 € dolce 8 € vino 5 € acque 3 € caffè Non bisogna farsi spaventare dal fatto che questo sia un “Ristorante del buon ricordo” oppure dal fatto che abbia una cucina creativa, anzi, nonostante preferisca le osterie più alla buona, qui mi sono trovato benissimo, niente rumori molesti, tranquillità nel servizio, spazi belli ampi, gran luminosità e, soprattutto, bella musica di sottofondo, un sottofondo bassissimo, discreto, che si sentiva appena, che riempiva dolcemente quegli spazi silenziosi che durante un pasto a volta capitano. La colonna sonora del nostro pranzo è stata Diana Krall. 5 cappelli è il minimo che io possa attribuire a questo locale. Grazie a tutti per la pazienza ad avermi seguito fino alla fine. A-v salut magnadôr bóss, arváddres…. PS : nello specchietto grigio a lato metterò il prezzo procapite, calcolato in base a antipasto, primo, secondo, dolce, acqua, vino, e caffè, considerato che conosco il prezzo medio dei secondi. Scrivo questo per prevenire i brontolamenti perché non ho riportato la metà esatta della mia spesa, ma si evince chiaramente che il mio pasto è stato anomalo e quindi non ritengo corretto riportare una divisione a metà di una spesa che normalmente sarebbe sicuramente più elevata, senza togliere nulla alla qualità. Grazie 52010-04-20 00:00:0050.001
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