Recensione su Auberge du vieux Puits - Restaurant Gilles Goujon Fontjoncouse (Aude, Francia)
visitato da mizoguccini il 19.08.2011

Recensione su
Auberge du vieux Puits - Restaurant Gilles Goujon
Fontjoncouse (Aude, Francia)

Visitato il 19.08.2011
Consigliatissimo!!
Scritta da mizoguccini
Servizio: Ristorante

Spesa a testa: 238.00
Coperti: 1
21 commenti
(PREMESSA: ho iniziato tardi a scrivere questa recensione, e ora sono costretto a finirla in gran fretta per rispettare il limite di pubblicazione; quindi l'introduzione è più ragionata e invece è carente proprio la parte dedicata al pasto, nel complesso non è all'altezza del locale. Me ne scuso.) DI NUOVO IN CIMA AL MONDO Con questo ristorante torno a scrivere di un locale posto sul massimo plateau: tre stelle Michelin dal 2010, 19/20 per la Gault-Millau, insomma uno dei più grandi ristoranti di Francia (e di conseguenza del mondo), oltretutto nel momento in cui sta cavalcando la cresta dell'onda; era dal 2008 che non raggiungevo simili altezze e non mi sono certo scelto una meta facile per la scalata. L'albergo ristorante di Gilles Goujon si trova infatti in uno sperdutissimo paesino nascosto nella macchia mediterranea delle Corbières, zona del Languedoc ove si produce il vino omonimo, lontano chilometri dal più vicino centro servito da una qualche forma di trasporto pubblico, con al conseguenza, tragica per il mio portafoglio, di doverci andare in taxi; del resto non mi sarei mai perdonato, se fossi passato tanto vicino a un simile santuario senza varcarne la soglia. Salgo dunque sul mio taxi prenotato giorni prima dall'Italia davanti al mio albergo a Narbonne, antica capitale della provincia romana della Gallia Narbonensis, e cerco di godermi il viaggio senza guardare troppo il tassametro, chiacchierando con la loquace tassista che a tutta prima mi ha preso per un inglese (questa mi mancava); il paesaggio, intensamente mediterraneo, scorre davanti ai finestrini inondato da un sole che durante la giornata è stato implacabile e che ancora non accenna a smorzare la sua face. Arrivo nel piccolo paesino di Fontjoncouse in largo anticipo, passo al ristorante per confermare il mio arrivo e mi viene offerto di usufruire della piscina dell'annesso albergo, posso trovare quanto mi serve, mi viene detto... sì, in effetti non mancano asciugamani e simili, ma io non ho un costume da bagno, preferisco quindi fare un giro per le stette stradine e le piazzette dell'abitato per buona parte colonizzato dall'impresa di Goujon, oltre all'albergo c'è anche una locanda leggermente più economica chiamata La maison des chef e alcune case dove vivono cuochi e camerieri (li vedo che si preparano per il lavoro); decido di salire fino alla chiesetta mezza diroccata che sorge in cima alla collina, e nel tragitto ho modo di vedere i locali che preparano grigliate, incontrare parecchi bellissimi gatti, più o meno amichevoli, e ricevere richieste di indicazioni stradali da parte di persone che ritroverò più tardi in sala. Arrivato davanti alla chiesa mi siedo su una panchina a osservare i prodromi del tramonto, insomma il momento di grande dolcezza in cui il cielo si fa più pallido e assume tonalità rosate, che vorremmo perdurasse indefinitamente ma deve il grande fascino proprio alla sua fuggevolezza cangiante. Sono circondato da rigogliose piante di rosmarino e lavanda, e ascolto Schubert col mio lettore mp3 che ahimè perderò appena tornato a Milano; molti sono i pensieri agrodolci che mi assalgono, ma anche il dolore è stemperato in serenità, almeno per questa sera. UNA SCOMMESSA VINTA L'albergo del vecchio pozzo è l'artefice della sopravvivenza di Fontjoncouse, era stato il sindaco del paese a volere una struttura turistica nell'abitato e a far ristrutturare l'edificio, e sempre lui a offrirlo in gestione, dopo l'ennesimo fallimento dell'albergatore precedente, a Gilles Goujon, in cerca del posto dove aprire il suo primo ristorante di proprietà; l'inizio fu duro, giorni interi senza nessun cliente, pare che questo omone arrivasse a piangere, quando era costretto per l'ennesima volta a buttare il cibo preparato. Ma con l'arrivo della prima stella e il premio di meilleur ouvrier de France gli affari cominciarono a girare, fino alla consacrazione definitiva delle tre stelle lo corso anno. Oggi questo vecchio ovile è una struttura di gran lusso nel genere rustico, il pozzo stesso è inserito nel salotto dove è possibile consumare l'aperitivo o il digestivo su comode poltrone di cuoio rosso, ben visibile sotto uno spesso pavimento di vetro; le sale sono inframezzate di cantine per il vino o sale di affinamento dei formaggi a vista, in una libreria della reception c'è la collezione completa della guida Michelin, i colori che dominano sono quelli del crema, del rosso e del marrone, travi a vista, grandi camini in alcune sale, stuolo di camerieri indaffarati a servire la clientela internazionale, ma per la maggior parte francese, che riempie i tavoli apparecchiati come si conviene a un tre stelle. Siccome sono il primo a sedermi a tavola lo chef passa a salutarmi, ma per rivederlo, a pasto terminato dovrò chiedere di potergli fare i miei complimenti: come ho già scritto più volte la tendenza dello chef sempre in sala è molto più italiana. Il personale è di quella professionalità francese inarrivabile, dove la cordialità si ferma sempre al punto da non cancellare la deferenza. IL BANCHETTO Scelgo il menu più ampio, Air de fêtes en Corbières (in teoria c'è scritto che è minimo per due persone ma mi dicono che per chi viene da solo non c'è problema, ma allora basta l'indicazione per la tavola intera, presente a sua volta), che prevede, dopo assaggi e mise en bouche, quattro piatti, formaggio, dolce (uno solo, di solito menu di questa ampiezza ne prevedono due) e piccola pasticceria per 150€, un prezzo moderato per un tre stelle, vino al calice di accompagnamento (anche se prendo un po' di tempo per sfogliare l'imponente carta dei vini), tutti della regione, il numero è a scelta, ne prevedo all'inizio quattro, ma diventeranno cinque e in effetti sei contando un rabbocco a bicchiere vuoto, a 12€ l'uno. I primi assaggi, quelli prima ancora dell'amuse bouche, sono quasi sempre rivelatori, è da lì che hai la folgorazione del grande talento (due giorni prima, al Parc di Frank Putelat di Carcassone questi mi avevano detto poco... i piatti successivi si erano poi rivelati migliori del previsto, ma come immaginato non c'era stato rapimento) e questi, dei piccoli “bonbon” riempiti di purée di funghi e verdure presentati su ardesia, mi fanno subito capire che si volerà altissimo, e infatti il momento sublime arriva immediatamente dopo, con la Collection de tomates, un calice riempito di pomodori di varietà diverse, ricordo solo il cuore di bue, il pomodoro ananas e il nero di Crimea, ma erano molte di più, alcuni semplicemente in fette, altri in trasformati in sorbetto o spuma, con un sorbetto al basilico e un gaspacho ghiacciato in fondo al bicchiere e un grissino al rosmarino in forma di cannuccia. Detto così forse non fa una grande impressione, ma potrei azzardarmi a dire che sia semplicemente la cosa più buona che abbia mai mangiato. Il sapore del pomodoro, così essenziale per noi che viviamo in paesi del bacino del Mediterraneo, è qui condotto alla sua espressione più pura: aromi, consistenze, temperatura (molto fresca) tutto faceva sì che a ogni boccone il mio piacere crescesse fino ad arrivare quasi alle lacrime, avrei voluto che non finisse mai. La prima entrée ufficiale è anche il piatto-firma di Goujon: “L'œuf poule Carrus "pourri" de truffes mélanosporum sur une purée de champignons et truffe d'été, briochine tiède et cappuccino à boire”, cioè un uovo intero di gallina semi-sodo che vi viene chiesto di tagliare subito per controllare che sia “ben marcio”, infatti al posto del tuorlo esce un liquido nerastro che altro non è che una salsa al tartufo nero, il tuorlo stesso viene reintegrato con lo zabaione al tartufo che viene versato sopra, prima che sul tutto vengano grattate delle enormi lamelle di tartufo; il tutto va mangiato facendo scarpetta con la brioche al tartufo e sorseggiando il cappuccino ai funghi. Comprensibilmente si tratta di un trionfo degli aromi del sottobosco, dove il classico connubio dell'uovo con il tubero viene spinto a una fusione quasi totale, da notare due cose: la prima è che non si sa ancora esattamente come questo piatto venga realizzato praticamente, ci si immagina che le uova vengano cotte fino a un momento in cui l'albume sia già abbastanza solido da permettere di estrarre il tuorlo ancora liquido con una siringa e sostituirlo col tartufo, ma come facciano effettivamente è un segreto che non ha lasciato la cucina di Fontjoncouse; la seconda è una mia personale considerazione fatta confrontando il piatto che ho avuto di fronte io con le foto che si trovano in internet, da cui si evince che negli ultimissimi tempi è stato fatto un notevole passo avanti in termini di eleganza di presentazione, all'auberge, arrivando a una classicità impeccabile. Mi è più difficile descrivere la seconda entrée perché non si trova nella carta leggibile in rete, si chiamava “i pesci del mediterraneo” e presentava del pesce azzurro, principalmente di piccole dimensioni come sardine e acciughe, crudo o cotto, accompagnato da quello che sembrerebbe un “pomodoro” di vetro soffiato (suppongo di zucchero) che si scioglie quando viene versata sopra della salsa di pomodoro (uno dei giochi preferiti da Goujon); forse il piatto che mi è piaciuto di meno, squisito. La portata di pesce era il “Filet de rouget barbet, pomme bonne bouche fourrée d'une brandade à la cèbe en "bullinada", écume de rouille au safran”, cioè triglia di scoglio su una patata fondente ripiena di crema di merluzzo e cipolla locale, condita da una schiuma di rouille allo zafferano, posta in un cucchiaio piegato e incastrato sul bordo superiore del piatto, sulla quale viene versato un brodo caldo di pesce che la scioglie, inondando il tutto; si tratta della preparazione che più ricorda il legame storico di queste terre con la Catalogna, tramite i sapori forti dell'aglio, dello zafferano, delle spezie, come mi fa notare uno dei sommelier, non quello che ha preso la mia ordinazione, che è stato spedito a prendersi cura del mio tavolo in quanto italiano... è infatti torinese, ma il suo accento tradisce una lontananza pluridecennale dal nostro paese, l'effetto è strano: parla italiano e francese con la stessa proprietà di linguaggio ma come se nessuna delle due fosse la sua lingua madre, con una cortesia che è difficile da trovare al di qua delle Alpi. Chi dice di non amare la triglia dovrebbe provarla qui... cambierebbe subito idea. I ricordi non sono nitidissimi per l'anatra con salsa alla violetta (questo e i dipartimenti vicini sono famosi per la coltivazione di questo fiore) accompagnata da una fricassea di funghi, la carne era tenera e consistente, il tutto molto profumato, ma non riesco a richiamare la sensazione alle papille gustative ricevute come invece posso fare con le altre portate, non perché fosse meno buona in assoluto, ma forse poiché ormai solo qualcosa di straordinario avrebbe potuto fornirmi un'impressione all'altezza delle precedenti, ho già avuto modo di notare che capita a questo punto del pasto. Ma appunto per questo ci viene data l'occasione di cambiare grazie ai sapori intensi e rassicuranti del formaggio: il carrello torreggia imponente e dopo aver detto scherzando che li voglio tutti mi affido al cameriere perché mi componga una selezione armoniosa di formaggi sopratutto locali tra capra, pecora e vacca scegliendo tra i più affinati e terminando ovviamente con un erborinato, cioè il classico Roquefort visto che purtroppo non ne sono altri; magistrale la piccola composta di ciliege che li accompagna. Visto che è il momento in cui sparisce dalla tavola ricordiamo il pane: preparato con la farina di un mulino lì vicino e cotto a legna in grandi pagnotte può essere bianco o integrale, ma anche il primo non è in realtà candido, proprio a causa della lavorazione artigianale; da spalmarci sopra burro salato o burro rosa alla barbabietola. Il dessert consiste nelle “Fraises mara des bois aux olives noires confites, sorbet à la fleur de «thym-citron», crème d'olive en coque de soucre soufflé”, ed è tra quelli che più hanno saputo conquistarsi un posto nel mio cuore non particolarmente amante dei dolci, il connubio tra le fragole e le olive nere è perfettamente riuscito, il sorbetto stupendamente rinfrescante senza rinunciare al sapore e la presenza dell'olio tutto tranne che stonata o pretestuosa, il tutto racchiuso in una delle predilette gabbie di “cristallo” zuccherino. Pulisce la bocca ma regalandole un piacere intenso. IL VINO? MARGINALE Arrivato fino a qui chi mi conoscesse potrebbe temere un lunghissimo paragrafo sul vino, invece non lo leggerà, perché per la verità non ricordo precisamente cosa abbia bevuto, due diversi bianchi, due rossi e un liquoroso tutti della regione, questo lo so, mi erano però sconosciuti spesso non solo i produttori, ma le stesse denominazioni, e dirò di più: per quanto tutti di ottima fattura nessuno mi ha di per sé rapito, anzi questa è stato tra i pasti più importanti della mia vita quello in cui il vino ha meno contribuito all'incanto complessivo; se poi vogliamo andare a vedere si scopre che quasi sempre negli altri casi era presente del Borgogna, spesso più di uno, e tutto ciò mi spinge a aumentare ancora di più la mia considerazione per la cucina di Goujon, mi è infatti impossibile, per esempio, non considerare fondamentale nell'estasi cui mi ha condotto lo splendido astice cucinato come fosse manzo alla borgognona da Lorain, l'apporto Vougeot premier cru che lo accompagnava, anzi spesso in simili avventure l'impressione più forte, più alta e più profonda rimaneva legata al profumo di un vino. Qui non è stato così, forse se avessi bevuto solo l'acqua (in caraffa) non sarebbe cambiato poi tanto. Ricorderò giusto, visto che la regione Languedoc-Roussilom è giustamente celebre per i suoi vini dolci, il Banyuls bianco (che bevevo per la prima volta, conoscendo abbastanza bene invece i vini rosso-bruni della denominazione) servitomi con le fragole, aromatico e non eccessivamente dolce. LA CONCLUSIONE Terminato il dolce rifiuto un caffè ma chiedo un digestivo da centellinare nel salotto con la piccola pasticceria, presentata in una raffinata scatola di lacca, mentre esamino la carta dei distillati (proibitiva nei prezzi) chiedo anche di scovarmi un taxi che venga da più vicino possibile (riusciranno a trovarne uno che mi costerà meno della cifra prospettata dalla compagnia dell'andata) e di poter parlare con lo chef, che nel frattempo, è quasi mezzanotte, ha sicuramente terminato il lavoro in cucina. L'Armagnac che scelgo è forse l'errore della serata, è indubbiamente ottimo, ma avrei potuto risparmiare quei 28 euro, considerato che quello bevuto la sera prima per soli 5 euro in un ristorantino-enoteca era forse persino migliore. Un leggermente imbarazzato ma direi lusingato Gilles è costretto a sorbirsi un mio lungo panegirico, in cui non ometto di sottolineare che sono stato costretto a venire in taxi, che verte sostanzialmente sulla difficoltà di rivivere la rivelazione e l'incanto delle prime esperienze nell'alta cucina, e di come egli sia perfettamente riuscito a far sì che questo avvenisse in questa magica serata, senza dubbio alcuno il più straordinario pasto in solitario della mia vita e uno dei candidati per la palma suprema. E' visibilmente stupito e compiaciuto che io conosca alcuni particolari, come la sua affiliazione a un gruppo di chef chiamato “i sette samurai”, e confido che capisca che i miei complimenti erano sentiti e niente affatto rituali, che possa essere fiero di se stesso. E' venuto purtroppo il momento di uscire, non senza tirare fuori la targhetta di plastica: 150 per il menu, 60 (12 per 5) di vino e 28 di Armagnac, per 238 totali. Ma quanto mi sia complessivamente costato questa esperienza memorabile, compreso il trasporto, questo rimarrà un mio (imbarazzante) segreto.

21 commenti

mizoguccini
30/09/2011
Ovviamente il cappello in meno è come al solito dovuto al fatto che si tratta di una prima visita e in considerazione del prezzo. Difficilmente potrei valutare una cucina e un servizio superiori a quelli trovati qui.
Lisus
01/10/2011
Concordo quando la definisci un'esperienza, non è una semplice cena, è un coinvolgimento multisensoriale. Alla lettura però dell'uovo "marcio" con la crema di tartufo nero ho avuto un brivido, e mi si è chiuso un po' lo stomaco...non mi piace il tartufo, ma per la piccola pasticceria servita nella scatola di latta potrei fare carte false. Non è per caso che fumi anche il sigaro o la pipa? me la immagino degna conclusione della tua trasferta francese :clap: :clap:
mizoguccini
01/10/2011
Di lacca, non di latta. No, non fumo nulla (anche se in teoria comprendo di più sigari e pipa delle infami sigarette). Per terminare in tempo la recensione non ho cenato, dopo sono uscito e mi sono recato dal kebabbaro.
carolingio
01/10/2011
Mizo, impara a guidàr o non lamentarti del taxi, anche perchè chi è disposto a spendere 238 euro di una cena, di cui 28 di Armagnac, NON DEVE lamentarsi del costo del taxi ;) :) La Francia è sempre bella, la recensione pure, anche se per un pasto così importante il vino doveva, sì, avere un suo spazio. Me sei perdonato, perchè è passato tanto tempo e a volte i ricordi sfumano per tutti :). Osservo comunque che, per quel prezzo, M. Goujon avrebbe anche potuto offrire un pesce diverso da quello azzurro, sardine, acciughe e triglie... seppur sempre parecchio buone, immagino. Vedo che l'hai opportunamente castigato con i cappelli. Anche se a lui non so quanto gliene possa importare perchè ti ha già castigato con il conto :chuckle:
Lisus
01/10/2011
Scusa avevo letto bene: "lacca", e infatti mi ero immaginata una lussuosa e raffinata lacca cinese... poi le mie dita sono andate per loro conto...vista la tarda ora!
Jimi-Hendrix
01/10/2011
My god! :mmm:
mizoguccini
01/10/2011
Carolingio, sono in completo disaccordo: il pesce bianco, che per altro è presente nel menu, va bene per i ristoranti fighetti di cucina banale, l'alta cucina crativa invece utilizza gli ingredienti più interessanti infischiandosene del prestigio commerciale; per altro le triglie non sono pesce azzurro. E non ho per nulla castigato Goujon,anzi.
carolingio
01/10/2011
Mah... il mondo è bello perchè è vario :) ... voglio dire che spendere 238 euro par magnàr trigliète (che vengono considerate pesce azzurro, vedi ad esempio: http://lapiccolacasa.blogspot.com/2008/10/triglia-di-scoglio-marinate-con-aceto.html )... insomma... se le altre alternative citate sono sardine e acciughe... insomma... va ben l'alta cucina creativa, ma mi pare che questo qui spenda poco di pesce e dopo el te para su un bel conto... A me sembra anche che se vai in un posto del genere, tre stelle Michelin, e gli dai quattro su cinque, significa che un po' l'hai castigato, che qualcosa che non va c'è, altrimenti avresti dato cinque.
Kava5150
01/10/2011
Mizo nel passato ha più volte chiarito il suo metodo di valutazione, specialmente nel caso di una sua prima visita: non da mai 5 cappelli, anche in caso di esperienza memorabile. Si puó non condividere, ma questo è il suo metro. Probabilmente chi è relativamente nuovo del sito puó non conoscere queste cose, ma chi lo legge da tempo o ancor di più ha avuto il piacere di conoscerlo sa che da lui non poteva aspettarsi un finale con il massimo dei voti. "Difficilmente potrei valutare una cucina e un servizio superiori a quelli trovati qui" mi sembra impossibile interpretarlo in altro modo, se non appunto che è difficile trovare un posto migliore. Comunque ottima recensione.
mizoguccini
01/10/2011
No, non è per nulla così. Innanzitutto, per regola, non do mai cinque cappelli a un locale che visito per la prima volta (non che recensisco per la prima volta, una recensione può essere scritta dopo anni di frequentazione) perché non posso giudicarne la costanza. Inoltre per me i cinque cappelli andrebbero dati forse solo alle trattorie (anche non mi sono sempre strettamente attenuto a questa idea, vedi il 5 cappelli alla mia seconda visita da Uliassi) perché per me "imperdibile" è il posto per tutti, dove la felicità gastronomica è raggiunta con poca spesa e l'atmosfera è rilassata. I ristoranti gastronomici sono un capriccio, un capriccio per me sublime ma comunque qualcosa di cui si può fare a meno nella vita. Comunque personalmente do poca importanza al numero di cappelli, e confido che il senso si ricavi dalla descrizione: appare dal testo che ci sia qualcosa che non va? No, è uno dei migliori ristoranti in cui sia stato in vita mia (superiore di gran lunga a tutto ciò che ho provato in Italia) e ha anche dei menu estremamente covenienti: un piatto alla carta costa tra i 55 e i 70 euro (25 per formaggio e dolci), e ho potuto osservare dagli altri tavoli che la porzione da menu è sostanzialmente identica a quella del piatto preso fuori menu. Le triglie appartengono al pesce bianco, non si tratta di una definizione scientifica, solo di una classificazione commerciale, ma tuttavia è abbastanza precisa; quello che citi è un blog amatoriale, in tutti i siti di commercianti di pesce la triglia va nel pesce bianco; alcuni esempi: http://www.stradadelpesce.it/specie_ittiche/pesce_bianco.asp http://www.pescheriamarco.com/triglia.html http://www.edemar.it/20-edemar-chioggia-venezia-trigli.html
monicas
01/10/2011
Complimenti per l'esperienza e per la recensione. Concordo in pieno anche sul metodo di valutazione e sul "capriccio" rappresentato da certi ristoranti, per molti inavviciabili. La triglia appartiene "assolutamente" al pesce bianco.

01/10/2011
Come al solito, caro mizo, leggere una tua recensione è un enorme piacere.. Leggerla su ristoranti che per me sono da tempo un "sogno", è ancor di più.. Uno spettacolo, ti ringrazio e ti prego di continuare a scrivere di questi locali il più possibile.. Quanto mi piacerebbe che un giorno condividessimo un'esperienza gastronomica (anche se [molto] meno elevata!) PS: Con il metro di giudizio di mizo mi trovo assolutamente d'accordo, mi pare molto ragionato e razionale.
mizoguccini
01/10/2011
aratos, se mi finanzi ne scrivo quante ne vuoi ;) Battute a parte, di QUESTO livello di certo non ne visiterò altri in tempi brevi... ma magari uno stellatino italiano prima della fine dell'anno ci potrebbe stare. Invece si può fare più tranquillamente un pasto in qualche ristorante di Modena, prima o poi, a meno che capiti a te di venire a Milano.
barbe
01/10/2011
Complimenti caro mizo! Impresa degna del massimo rispetto, e compito gravoso di raccontarci una simile esperienza. Descrivere piatti così elaborati, complessi, tendenti alla ricerca della perfezione sia per presentazione, sia per sostanza, non è facile ... cerco "vanamente" di visualizzare le portate del tuo, come sempre piacevolissimo racconto, ma non mi azzardo nemmeno lontanamente a tentare di immaginare i profumi e i sapori, e le emozioni ... continuo sognare ancora un po', volando alto nel tuo racconto, con la speranza che il mio commento non riporti tutto nella triste materialità terrena.
mizoguccini
02/10/2011
Figurati caro barbe, le parole di un amico sono sempre gradite e non guasterà mai. Una cosa che forse non ho sottolineato abbastanza è che Goujon è lontanissimo dalla moda (ormai declinante?) della cucina molecolare: i giochi con le consistenze strane e gli stati della materia improbabili non fanno per lui (unico vezzo ripetuto quello delle strutture che si sciolgono), che gioca senza paura con i sapori forti ed essenziali, senza nemmeno usare la tattica della moltiplicazione infinita degli ingredienti. Una cucina del territorio, certo, ma non solo quello, e senza l'approdo alla ricerca maniacale dei vegetali perduti (come fa Alain Passard), il cui carattere non si sa ancora se definire arcaico o atemporale: si vedrà alla distanza rimarrà un caso isolato o invece diventerà un apripista nella cucina del XXI secolo.
carolingio
02/10/2011
Mi ero ripromesso di non aggiungere altro, ma qualcosa invece mi sento di dover aggiungere. Noto che si è inserito Monicas, la (il?) quale non perde l’occasione per esprimersi in modo diametralmente opposto al mio, sostenendo l’occasionale controparte. Non intendevo contribuire a costituire il battaglione del pesce bianco (seppur anche in questo altro sito la triglia viene attribuita al pesce azzurro http://www.gastronomia-online.com/ricette/che-bonta-il-pesce-azzurro-con-le-triglie-alla-livornese/ , ma evidentemente si tratta di classificazioni un po’ generiche o superficiali)… non importa, io mi sono espresso in questo modo, come da sentire comune (che altri siti, seppur “amatoriali”, dimostrano), volendo riferirmi ad una qualità di pesce non proprio eccelsa, piena di spine all’origine, di basso costo (anche se fa bene alla salute e anche se cucinata benissimo). Mi pareva d’aver capito da un’ultima osservazione letta sulla recensione, che l’Armagnac a 28 euro non era stato indovinato e pensavo che quello avesse contribuito a determinare la valutazione, perché, quando le aspettative sono alte, basta poco (almeno a me succede così) per infrangerle. Per suffragare il giudizio e dar ragione al voto di Mizo avevo evidenziato anche la tipologia di pesce, come possibile motivazione, ma mi sbagliavo. Tant’è. Succede a volte (l'ho fatto anch'io) anche di dare un valutazione un po’ più bassa, perché non si provano tutte le offerte di un locale, ripromettendosi di farlo in futuro… ci può stare anche questa motivazione (un po’ al limite dello “spirito” delle linee guida, per la considerazione “storica” che si intende dare al locale, ma non voglio certo essere manicheo, visto anche che l’ho fatta anch’io quella valutazione sopra in qualche occasione), che ora ho inteso, seppur un po’ “tirata” per un posto ritenuto tra i migliori mai provati. Spero, Mizo, che tu non te la sia presa per qualche battuta. @ Monicas, ti avevo fatto una domanda: http://www.gustamodena.it/lavagna.php?cod=2883#23202 Potresti cortesemente rispondere? (dall’altra parte, per non intasare qui)

02/10/2011
Eh già, credo proprio che dovremo assolutamente organizzare un bel pasto un giorno..! Barbe tu cosa ne dici?
mizoguccini
02/10/2011
Ma no, carolingio, non me la sono certo presa, solo era per me importante fugare un'impressione sbagliata. Certo che basta poco per infrangere le aspettative altissime che si possono legittimamente avere quando ci si reca in un luogo del genere, ma qui sono state pienamente soddisfatte. L'armagnac era eccellente (e sui 35 d'età, non ricordo esattamente ma mi pare fosse del '76 o '77) se proprio volessi fare un appunto sarebbe sul fatto che lo servono nei tradizionali bicchieri larghi da brandy detti sniffer o napoleon, mentre molti degustatori da alcuni anni ne sconsigliano l'uso prediligendo calici più piccoli, e io sono d'accordo con loro; l'errore stava nel fatto che avrei potuto risparmiarmi quella ulteriore spesa, considerato che avevo bevuto un distillato di pari dignità (uno Chateau Laubade 1974) la sera prima per un prezzo molto più contenuto (ma come quantità era almeno la metà). Sempre sulla triglia: può essere magari considerata pesce povero, ma non ha le caratteristiche - colore dorsale appunto tendente al blu, carni grasse e un po' oleose - del pesce azzurro. Giusto aratos, confabula con il Rosso e vediamo di organizzare...
corpicino
03/10/2011
:clap: :clap: nn aggiungo altro!!!..anzi no il cibo descritto mi ha mosso una bavazza......
Frittella
03/10/2011
Egregio Sig. Mizoguccini io la farei sindaco!!! Mai e poi mai avrei pensato di sognare ad occhi aperti e desiderare ardentemente....un pomodoro!!! Complimenti per il tuo racconto, come sempre avvolgente e mai stucchevole. A presto grande Mizo. :clap:
mizoguccini
04/10/2011
Sindaco di Fontjoncouse, però...
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