Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruiràa deciderlo tocca a noi. Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenitànon colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono non colla primavera di queste valli che ti videro fuggire. Ma soltanto col silenzio del torturati più duro d'ogni macigno soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignitàe non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo. Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai morti e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre RESISTENZA
(Piero Calamandrei)
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Mi rendo conto che si tratta di un inizio un po’ drammatico per la recensione di un ristorante, ma la trattoria Barsotti si trova pur sempre a Marzabotto, comune epicentro di quell’eccidio di Monte Sole che fu uno dei peggiori crimini di guerra nazisti, e di questi tempi, a fronte di dichiarazioni sciagurate che un revisionismo senza memoria fa passare per accettabili, è necessario ricordare cosa è stata la barbarie assassina del nazifascismo.
Fatta questa premessa saltiamo a venerdì 1 febbraio, giorno in cui mi sono recato in treno a Bologna per essere lì raccolto da Kava e arrivare quindi a Marzabotto, dove giàci aspettava barbe, per provare finalmente la Trattoria Enoteca Barsotti; la cosa che più mi ha colpito è che l’intero locale è mandato avanti da due sole persone: Francesco gestisce sala e cantina e Lorenzo è da solo in cucina a preparare ogni cosa, con risultati stupefacenti.
Occorre dirlo subito: sebbene il pasto sia stato da noi pagato, il trattamento che abbiamo ricevuto è stato assolutamente di favore, per la quantitàdi piatti e specialmente di vini che ci è stata imbandita, e per il prezzo forfettario che ci è stato fatto; del resto è il vantaggio di andare a pranzo con i fornitori, specialmente se si sanno far voler bene come il nostro Kava.
La prima bottiglia con cui brindare al fatto di ritrovarsi non poteva che essere uno Champagne: Oeil de perdrix di Jean Vesselle (normalmente non presente in carta), purtroppo io avevo giàun inizio di raffreddore (peggiorato in serata e il giorno successivo) per cui perdevo parte degli aromi di questo blanc de noirs (100% Pinot noir di Bouzy) che si pone in qualche misura a metàstrada tra uno Champagne vinificato in bianco e un rosé, ma ciò non m’impediva di berlo con sconsiderata disinvoltura mentre studiavamo la carta, dalla quale vorremmo assaggiare praticamente tutto… cosa che arriveremo molto vicini a fare. Una delle prime decisioni è quella di prendere uno dei loro antipasti, il cioccolatino - omaggio al crostino toscano come pre-dessert, e mentre facciamo sparire la triglietta fritta di benvenuto decidiamo i tre antipasti, che in teoria sono ancora “nominali”, ma che di fatto spartiremo in tre come tutte le successive portate.
Ci arrivano quindi la “scaloppa di foie gras d’oca, porri al vin santo, panettone e fichi canditi”, in teoria la mia scelta, ma che forse è quello che mi è interessato di meno, poiché si basa su un ingrediente pregiato e sempre appetitoso come il fegato grasso, ma offre un po’ meno spazio alla costruzione del piatto, poi le “triglie liguri, petto d’oca affumicato e grano saraceno” che è al contrario quello più innovativo e inusuale, un azzardo pienamente riuscito, e gli “scampi avvolti nel lardo di Colonnata, crema di lenticchie e cime di rapa”, alla fine quello che più mi ha soddisfatto, in particolare per l’apporto vegetale.
Nel frattempo si sceglie come continuare nei bicchieri, e – senza aver precedentemente concordato in tal senso – imbocchiamo un percorso completamente francese che Francesco ci delinea tra le tante bottiglie che ci allinea sul tavolo: ecco quindi Les Grands Teppes Vielles Vignes di Jean François Ganevat, uno Chardonnay del Jura i cui sbalorditivi aromi riescono a farsi strada anche nelle mie mucose intorpidite.
È più o meno a questo punto che assieme allo chef decidiamo che non ci limiteremo a prendere un piatto a testa, ma faremo un vero percorso di degustazione dividendo ogni porzione in tre, anche perché il piccolo locale vedeva solo altre due tavole occupate, tra cui quello di una madre con due figli di ritorno da scuola, a dimostrazione del fatto che, oltre che per dei viziosi come noi tre, la trattoria funziona anche per un pasto gustoso e relativamente rapido ed economico, in sostituzione di posti più banali e standardizzati; ecco dunque seguire quattro primi e cioè i “passatelli asciutti con gallinella, spigola e timo limonato”, piatto raffinato e molto bello a vedersi ma non tale da accendermi, i “tortellacci ripieni di trippa con fagioli cannellini, crema di nocciole e pecorino di Bosa”, sui quali avevo puntato la mia attenzione giàda casa guardando la carta sul sito, e che forse avrei preferito un po’ più spinti sul versante del sapido e dell’umami, meno eleganti forse, ma più sfacciatamente goduriosi, e – dal menu di mezzogiorno – dei tortellini di anatra in brodo alla liquirizia che mi hanno completamente conquistato, anche in considerazione del fatto che sono presentati come piatto più “basico”, e per ultimi i “paccheri, castrato, vellutata di mela Rosa Romana, Martini Dry”, di cui ci viene spiegata la complessa preparazione (devo dire che un po’ mi sono perso e non so quindi riferire esattamente come i paccheri vengano prima cotti e poi “soffiati”), con Lorenzo – che ormai ha solo noi da soddisfare essendo rimasti gli ultimi in sala – si discute anche su quanti riuscirebbero a capire che di carne di castrato si tratta se non fosse indicato, e mi confesso tra quelli che probabilmente non ce la farebbero.
Finiti i primi piatti un piccolo passaggio nei crudi di pesce con la “tartara di cernia del Mediterraneo, olio vanigliato e caviale di aringa”, nella versione con sorbetto al prosecco, sorbetto che viene giudicato troppo dolce da barbe ma che invece convince, nell’abbinamento con il delicatissimo pesce rinforzato dall’olio aromatizzato, me e Kava, poi un “trancio di dentice, cicoria cimata, datteri e patate”, mirabile per la sodezza delle carni, ravvivato dal gusto aristocraticamente amaro della cicoria cimata… avrei solo desiderato che ci fosse un po’ più di crema di patate d’accompagnamento; tempo di stappare una bottiglia di rosso – e qui si invera il mio desiderio da quando sono entrato e ho visto immagini e bottiglie che riempivano il locale, e cioè quella di inoltrarsi nella terra che più di ogni altra senza alcuna incertezza prediligo nel vino, e quindi la Borgogna, che anche Francesco ama visceralmente e intellettualmente insieme, ma per non strafare ci “accontentiamo” di un Côte de Nuits-Village di Jean-Marc Millot (2008 se la memoria non mi tradisce, e purtroppo le foto di barbe qui non mi aiutano) – e arriva la pietanza che più di tutte mi è piaciuta, il “lombo di cinghialino dell’Appennino alla liquirizia, cavolfiori e ribes”, la carne dal rosato più bello che abbia mai visto, ma soprattutto una vera prelibatezza, ne avrei mangiata volentieri una porzione intera, dopo due prove confermo a questo punto il magistrale uso che Lorenzo fa della liquirizia, non così semplice da trattare visto che può facilmente risultare dominante ed eccessiva.
Visto che mentre si sceglieva il vino con Francesco si era parlato molto di Borgogna e della poesia che solo il Pinot Noir di questa terra riesce a sprigionare, ci viene anche fatto assaggiare un goccio da una bottiglia giàaperta, un Morey-Saint-Denis (siamo quindi più su da un punto di vista della classificazione, poiché da una denominazione regionale saliamo a una comunale, per fare un paragone è come essere passati da un Langhe nebbiolo a un Barbaresco) 2010 di Amiot Servelle, e con questo ci accompagniamo l’ “elogio al crostino toscano: Il Cioccolatino”, cioè una piramide di cioccolato ripiena di paté di fegatini, che personalmente ho trovato ottimo proprio gustato come pre-dessert. Per pulirci la bocca ci viene portata una granita di sedano con semi di porro, giustamente fresca e ravvivata non poco dai semi quasi piccanti.
Ormai abbiamo Francesco e Lorenzo tranquilli a chiacchierare al tavolo con noi, ma il secondo a un certo punto mi fa “vuoi che ti prepari un dolce?”, e allora barbe dice che in effetti la “torta di mele lardo di Colonnata e lamponi” la riassaggerebbe, e quindi ci dividiamo anche questa: la ricetta è cambiata rispetto a quella che ricordava barbe e trovava migliore la precedente, ma io che non ho raffronti apprezzo il gusto delle mele con il lardo e il rosmarino… e così siamo arrivati alla fine anche di questo pranzo.
Mentre “il rosso” si organizza per comprare qualche vino interessante (risparmiando sulla birra quotidiana) ci portiamo alla cassa e paghiamo il dovuto… o meglio: il richiesto, perché Francesco fa un conto piuttosto misterioso facendo sparire voci e bottiglie, e quindi ci chiede 210€ in tutto cioè 70 a testa, che mi sa coprissero a mala pena il vino e forse un piatto, ma non starò certo qui a lamentarmene.
Come considerazione finale posso dire che la cucina di questo locale ha giàraggiunto il risultato più difficile dell’eleganza, e a mio avviso deve solo concedere di più al piacere puro, permettendo agli ingredienti più canaille di esplodere senza pudore; se abitassi nelle vicinanze credo che ci passerei spesso, anche solo per un piatto veloce a mezzogiorno, visti tutti i chilometri che ci separano una prossima volta che ci tornerò saràinvece, mi auguro, per un altro banchetto come questo.
15/02/2013
Non posso fare altro che confermare la bontà di tutto quello assaggiato. Lorenzo e Francesco sono giovani, bravi ma umili, e soprattutto hanno passione, quella marcia in più che fa sempre la differenza. Inoltre la competenza e la ricerca di materie prime eccellenti, dalla cucina alla cantina, fanno sì che le aspettative di chiunque entri dalla loro porta siano ampiamente soddisfatte. Già ai tempi della mia prima recensione li avevo considerati come una delle proposte più interessanti del panorama felsineo. Ora posso solo ribadirlo.